domenica 30 ottobre 2011

Halloween e le eterne paure dell'uomo


Oggi in molte parti del mondo si  festeggia Halloween, una festività che ha radici molto antiche, nata prima ancora della cristianizzazione, già presente nella religione dei Celti per i quali  rappresentava il capodanno, il passaggio dall’estate all’inverno, che veniva chiamata Shamain; era un giorno molto particolare che per il suo carattere di passaggio non apparteneva né ad una stagione né all’altra e quindi, per conseguenza, un giorno in cui la distinzione tra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti perdeva i suoi confini invalicabili.
Halloween è anche una festività che parla profondamente della psiche umana, del suo funzionamento, perché ogni volta che l’uomo crea un rito lo fa per esorcizzare delle paure sconosciute che gli salgono da dentro, dall’inconscio.
Halloween si inserisce in quella serie di festività attraverso le quali veniva ritualizzato l’eterno conflitto fra la luce ed il buio, e che possono essere metafora del conflitto che vive l’uomo nel momento in cui si accorge di non riuscire più a gestire la sua vita, quando si rende conto che non riesce ad uscire dalla rabbia, dalla depressione, dall’ansia etc , emozioni che magari erano nascoste nel buio e che gli hanno preso la mano di nascosto, al di fuori della coscienza e della sua volontà.
Questa serie di feste esistono ancora oggi; la candela nella zucca non è altro che la prima di una lunga serie di luci che andranno a costellare le festività per tutto il periodo che va dal primo di novembre fino all’Epifania, passando per Natale e Capodanno; tutte feste durante le quali si accendono e vengono mantenute luci accese o durante le quali si fanno falò.
Halloween si pone fra l’equinozio, in cui il giorno ha durata uguale alla notte, ed il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno; è quindi una sorta di “soglia” del periodo dell’anno più buio e appunto da qui si iniziano ad accendere luci che rischiarano l’attesa del ritorno della luce.
Le origini di questi antichi culti vanno ricercate in ciò che è il "principio" della vita sulla terra e che dal principio è stato oggetto di venerazione; il sole. Agli albori dell'umanità, la natura appariva indecifrabile, potente espressione di forze che era necessario accattivarsi; era un mondo magico. L'uomo antico si sentiva parte di quella natura, ma in posizione di debolezza. Per questo, attraverso il rito, cercava di "fare amicizia" con questa o quella forza insita in essa. Per l'uomo, temere che il sole non sorgesse più, vederlo perdere forza d'inverno riducendo sempre più il suo corso nel cielo, era un'esperienza paurosa che minacciava la sua stessa vita. Perciò, doveva essere esorcizzata con riti che avessero lo scopo di evitare che il sole non si allontanasse ancora o di aiutarlo nel momento di minor forza. E' proprio partendo da questa considerazione che possiamo individuare le origini dei rituali e delle feste di questo periodo dell'anno fino a gennaio. Durante queste feste venivano accesi dei fuochi che, con il loro calore e la loro luce, avevano la funzione di ridare forza al sole indebolito, e di dare speranza agli uomini nel momento di attesa della primavera. 
Questi riti parlano dell'eterna paura dell'oscurità e del buio e che oggi esiste ancora nell'uomo moderno sotto un'altra forma, quella della paura di se stesso e dell'ombra inconscia che sotto sotto sente di avere dentro.
Jung diceva che nella nostra personalità c'è un'area che chiamò Ombra, una parte di noi che ci resta ignota e sconosciuta di cui abbiamo solo un vago sentore, in cui sono relegate tutte le cose che non amiamo di noi, che abbiamo paura di mostrare, o di cui non siamo consapevoli; una parte di noi che non dovrebbe mai uscire (secondo noi) altrimenti ci metterebbe in imbarazzo. Una parte di noi in cui potremmo perderci (in essa si nascondono la depressione, il bisogno, la rabbia etc.) e da cui potremmo essere "posseduti"; l'unico modo per non perderci in essa è quello di accendere delle piccole luci, metafora del continuo sforzo di comprendere e comprenderci.
Ecco che la festa di Halloween sembra parlare proprio di questo, della paura che il confine tra la mente cosciente (illuminata, che conosciamo) e quella inconscia (buia e sconosciuta) si assottigli fino a sparire e faccia emergere i nostri mostri personali. L'unico modo per vincere questi mostri è "prendere confidenza" con loro illuminando poco a poco le loro sagome tramite il flebile lumino della consapevolezza; esattamente come durante le feste legate all'accensione di luci si cercava di familiarizzare con la paura dell'inverno, con la paura di non superarlo, con la paura della morte.
La natura della ricerca di noi stessi, il percorso che porta alla scoperta dei nostri aspetti sconosciuti, è un viaggio incerto, fatto nel buio, e con lungo tempo, fino a riuscire ad "illuminare" questi aspetti scuri e vederli bene in volto; un viaggio che, però, non termina mai, ogni volta ci sono nuovi angoli bui, esattamente come ad un anno ne segue un altro, ad ogni estate un nuovo inverno......ed un nuovo Halloween.

sabato 29 ottobre 2011

Web: la Rete che cattura.........siamo noi a pescare idee sul web o è il web a pescare noi?

Si trovano ormai diverse pubblicazioni, tanto cartacee quanto virtuali, che parlano di quello che è il nostro rapporto con internet, il web, la rete, e molto si discute su quello che dovrebbe essere in via ideale; in sintesi si discute ormai, e giustamente, dell’etica su cui dovrebbe basarsi il rapporto uomo-web.
Oltre a questa faccia di internet però è possibile provare a vederne anche un’altra, un’ulteriore chiave di lettura di questo fenomeno mondiale; il web, oltre ad essere un mezzo nelle nostre mani è anche un fenomeno concreto che può dirci come è il mondo oggi e che può indicarci (anche se solo parzialmente) dove andrà; quali delle nostre abitudini sta modificando, al di là del bene e del male, e cosa può dirci del nostro rapporto con il mondo.
Innanzitutto il significato in italiano è “tela” e per derivazione “rete” e “ragnatela”, quindi rappresenta qualcosa che avvolge e che serve per catturare, per trattenere; il web in qualche modo ci circonda e manifesta caratteristiche di indipendenza rispetto agli individui che ne fanno uso. Non per niente sta catturando anche la nostra intelligenza, o almeno alcuni suoi aspetti, non si parla forse di intelligenza artificiale?

Ecco, una prima informazione è che stiamo delegando alcuni aspetti della nostra intelligenza alla tecnologia, nel nostro caso particolare ad internet.
Alcune capacità mnemoniche non vengono più stimolate a causa dell’enorme mole di informazioni incamerata nel web e rintracciabile con un semplicissimo “clic”, semplicemente queste capacità di memoria non ci servono più perché abbiamo ogni significato scritto nella rete. In questo modo perdono consistenza la memoria verbale e numerica e la memoria tattile.
Parlando dei numeri e delle parole si sta parlando di quella che è definita memoria semantica; questo tipo di memoria è quella che ci permette di ricordare il significato delle cose, per esempio di una parola o di un numero; diminuendo la sua attività finisce per venire a mancare il significato di un concetto o di una parola.
Per fare un esempio potremmo dire che siamo capaci di ricordare quando ci siamo innamorati del nostro partner (memoria episodica) ma che però non sappiamo più cosa vuol dire innamoramento, non conosciamo più il significato della parola (memoria semantica) ed il suo valore.
Da qui a pensare che la comunicazione tra persone rischierà di diventare sempre più piatta e vuota di contenuti non ci vuole molto.
In questo senso il web rischia di portarci via il mondo reale, con le cose concrete che possono essere toccate, il rapporto con esse, il rapporto tra persone reali. Oggi noi entriamo in contatto con profili sui social network e neanche sappiamo se queste persone esistono davvero, se sono davvero così come si descrivono. Da questo punto di vista potrei creare tanti profili quante sono le mie personalità, ma nessuno, dall’altra parte dello schermo avrebbe la possibilità di sapere chi sono davvero. La possibilità di conoscere la realtà subisce una forte flessione in senso negativo, ma d'altronde questo forse neanche interessa più.

Una ulteriore informazione sul web, è il fatto che è un creatore di immagini. Come detto sopra si impoveriscono la memoria semantica e quella tattile, e questo a fronte di un rinforzarsi di quella visiva ed uditiva. Non intendo solo le immagini vere e proprie, le foto per intenderci, ma anche i caratteri scritti, tutto sullo schermo ci appare come immagine, o perlomeno ne rappresenta l’aspetto preponderante.
Oggi l’uomo moderno sembra essere in balia delle immagini di internet più o meno come l’uomo primitivo era in balia delle divinità, dell’immagine interiore che ne aveva, della sua fantasia.
Queste “immagini” dell’uomo primitivo però erano immagini che gli appartenevano, l’immagine mitica (per esempio l’immagine di una divinità), era ponte tra il  mondo interno con le sue emozioni ed il mondo esterno con le sue realtà concrete; un’immagine che rimane interna ed incerta, come immaginare il personaggio di un romanzo che viene solo descritto con le parole ma non in foto, insomma, un’immagine poetica e irreale.
Per le immagini di internet la cosa appare diversa. Esistono ma non sono immagini “ponte”, immagini di una emozione o di un sentimento; le immagini di internet esistono a priori e restano nel web, sono concrete e nello stesso tempo immateriali, hanno una esistenza virtuale nel server. Non esiste quindi più distinzione fra immagine interna ed esterna, nel web  tutto è esteriorizzato ma nello stesso tempo non è concreto, non può essere toccato.
Questo vuol dire che il mondo non è più riflesso dentro di noi ma riflesso nel web, e tutto ciò provoca una sorta di svuotamento di senso nell’uomo; non per niente per qualcuno, dipendente da internet, il mondo esiste fino a che resta acceso il computer per poi sparire quando lo si spegne, lasciando un incontenibile senso di vuoto.
In altre parole il web rischia di portarci via la fantasia, la possibilità di immaginare, tutto è lì pronto per essere visto e catturato. Quello che però si può perdere è la capacità di riflettere sulle immagini e la possibilità di dotarle di senso; ci si entra in contatto ma poi ci si scollega da internet senza aver provato a capire perché quell’immagine ci ha colpito così profondamente.

Internet è potenzialmente capace di toglierci tanto le immagini reali esterne (ed il rapporto con esse) tanto le immagini interne, quelle della nostra fantasia. Anzi, per essere più precisi il web le sintetizza insieme, facendo tutto il lavoro per noi, non permettendoci una riflessione approfondita, non permettendoci di essere liberi artefici della nostra immaginazione; il problema più grosso è che proprio dall’immaginazione prendono il via le azioni concrete che compiamo durante la vita; se non riesco ad immaginare il rapporto con un’altra persona quel rapporto non riuscirò neanche a stabilirlo se non in ipotetici modi casuali.

Il mondo interno e quello esterno sono strettamente legati, il rapporto tra il dentro di me ed il fuori di me è ciò che crea le esperienze e la vita, è ciò che può farmi cambiare nel tempo.
Ma sul web il tempo non esiste, c’è solo un eterno presente, la progettualità si smorza, vengono a mancare l’approfondimento delle cose ed il coinvolgimento in esse. Tutto è immediato, tutto deve colpire, più un contenuto genera emozione meglio è; per questo sul web tutto è mistificato, tutto è “forte” (e non solo nel web) e di conseguenza nulla è “davvero” vero fino in fondo; è come giocare a nascondino.
In internet i legami non sono possibili oppure la loro durata è messa a dura prova davanti alla possibilità di eliminare un legame sentimentale con un semplice “clic”; il tempo non esiste ma quindi in internet non esiste neanche la possibilità di progettare insieme un rapporto e mantenerlo perché mancano il passato ed il futuro, anch’essi sintetizzati dal mondo virtuale.

Quindi è questo il mondo in cui viviamo, un mondo basato su immagini, dove quello che conta sono le emozioni forti, la capacità di colpire gli altri mostrando alcuni aspetti di noi a scapito di altri che non colpirebbero abbastanza, che non avrebbero impatto; tutto si decide in un attimo, senza possibilità di revoca, un po’ come il clic del web oppure tutto finisce in revoche continue senza decisioni stabili, un po’ come morire in un videogioco per poi rinascere alla prossima partita.

Forse la nostra cultura occidentale sta perdendo la capacità di creare cose nuove, perché la creazione nasce da un’attimo di intuizione improvvisa poi realizzata con l’impegno e la costanza, qualità che oggi sembrano essere sempre più latitanti.

Fortunatamente resta comunque il concetto che il web, o più in generale il mondo digitale, sono dei mezzi a nostra disposizione e quindi grandi potenzialità se utilizzate con una testa che pensa in modo non unilaterale, capace cioè di perdersi nella rete per catturare idee da trasformare in qualcosa di originale e profondamente sentito.

In ogni caso una domanda sorge spontanea; siamo noi a catturare idee nella rete del web o è piuttosto il web a catturare noi?




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martedì 25 ottobre 2011

Pulci e Rivolte: Roma 16 ottobre 2011






C’è un vecchio detto cinese che in qualche modo permette di riflettere sulla differenza tra il comportamento dei black-block rispetto a quello degli “indignati” nelle ultime manifestazioni di Roma, e permette di riflettere anche su quanto sia importante non gettare la spugna e non smettere di pensare che un futuro diverso sia possibile.
Queste riflessioni non vogliono essere necessariamente un modo per giudicare un certo tipo di estremismo, vogliono però cercare di capire come mai alcune persone si comportano in un certo modo, cercando di evitare considerazioni generali e calando questi eventi nel contesto psico-sociale attuale
Il detto cinese è il seguente:il cane nel canile abbaia alle sue pulci, il cane che va a caccia non le sente”….Ma perchè proprio l’esempio del cane e delle sue pulci? Sarà un discorso un pò lungo.
L’immagine dell’abbaiare alle proprie pulci dà l’idea di qualche cosa che si rivolge contro se stessa, in modo quasi incontrollato; in via generale le pulci sono fastidiose e difficili da debellare perchè sono una moltitudine, a ben guardare somigliano alle idee fisse che ci vengono in mente nel momento in cui si vive un periodo di insoddisfazione, le energie non vengono più investite in attività soddisfacenti e si rivolgono verso l’interno di sè creando frammentazione nelle idee e nelle emozioni, che si slegano e vanno ognuna per conto proprio, proprio come le pulci, tante, incontrollate ed invincibili dal cane.
E quando accade che le idee e le emozioni perdono un centro organizzatore, un senso dell’Io che le guidi, possono diventare pericolose, perchè troppo autonome; il termine corretto è “scisse dalla personalità cosciente” e quindi “inconsce” non più riconoscibili e quindi non più gestibili, Jung li chiamava “complessi autonomi a tonalità affettiva” che prendono il potere nella nostra mente senza che ce ne accorgiamo.
Un cane che abbaia alle proprie pulci si assume un compito inutile, destinato al fallimento, come l’uomo che, rivolgendosi alle idee ed emozioni autonome non fa altro che continuare a stimolarle facendosi del male.

Molto diversa è la condizione del cane che va a caccia; anche lui ha le pulci, solo che non le sente, esattamente come le idee fisse; in genere sono presenti sempre, in ognuno di noi, ma nel momento in cui riusciamo ad avere un obiettivo, qualcosa a cui puntare (come il cane la selvaggina) le dimentichiamo, e questo è l’unico modo per far perdere loro il potere distruttivo e disgregante della personalità che hanno di natura.
Si potrebbe dire che la mancanza di una attività direzionata le nutre di maggiore energia e le rende invasive, l’attività direzionata le depotenzia (e questo significa che le rende anche affrontabili).

Ma cos’è che direziona una attività? La società e la persona stessa.

A questo punto è possibile portare queste riflessioni nel contesto attuale, tanto sociale quanto economico.
La società può aiutare un uomo a trovare un obiettivo, a realizzarsi dandogli la possibilità di esprimersi, di sentirsi autore di se stesso, fornendo opportunità di lavoro o una rete sociale che possa sostenere i singoli nel momento della difficoltà, fornendo istruzione, fornendo modelli che non siano solamente vuota immagine ma personaggi che siano portatori di un qualche valore.
Tutto ciò nella nostra società appare piuttosto latitante, sia per  ovvi motivi economici (la crisi) sia per i messaggi che vengono lanciati dai mass media, basati su valori edonistici e narcisistici.
A questo punto non ci sarebbe più speranza; al cane dell’esempio viene tolta tutta la selvaggina possibile, quindi l'obiettivo, ed è costretto a stare in casa ad arrovellarsi sulla sua insoddisfazione, sulla sua mancanza di realizzazione, abbaiando alle proprie pulci e diventando pericoloso a causa della sua cattività. Questo vale anche per le persone; chi perde il lavoro, chi non lo trova, chi non può farsi una vita autonoma, tutte queste situazioni possono causare la perdita del centro di coesione della coscienza, che così può essere preda di qualunque tipo di impulsi, per esempio quelli aggressivi.

Ma fortunatamente c’è anche un altro elemento che può direzionare l’attività verso un obiettivo, e questo è prettamente personale.
Parlo di quello che in psicologia viene chiamatosenso di efficacia personale”; si intende la convinzione di avere dentro di sè gli strumenti sufficienti per realizzare i propri desideri (desideri che possono attendere di realizzarsi, non bisogni impellenti; ma questo è un altro discorso), per resistere nelle difficoltà, e di poterli usare al meglio; questo vuol dire che il cane può ingegnarsi per uscire dal canile dell’esempio, magari trovando un altro modo di vivere, adattandosi un minimo ma non rinunciando ad aspettare che la selvaggina ritorni, continuando a sperare.
È ovvio che questo un cane può non essere capace di farlo….ma un uomo si, a meno che non preferisca limitare la sua ottica a pensare che gli hanno tolto il futuro senza riflettere che in alcuni casi un pò di serenità può crearsela da sè ristrutturando i propri valori se proprio non riceve aiuto dall’esterno.
Sono due modi diversi di reagire, e sono i due modi che distinguono gli “indignati” dai black-block, i primi stanno cercando nuove strade per chiedere un aiuto, si uniscono per raggiungere un fine comune, sostenendosi (e raccogliendo consensi anche da chi alle manifestazioni non ha partecipato), i secondi non hanno fatto altro che lasciare spazio libero agli inpulsi lasciandosi guidare da istinti incontrollati (vedi pulci del proverbio), e questo è un pò come permettere al proprio animale domestico di prendere la gestione della propria casa.

L’attuale contesto sociale ed economico non lascia forse molte speranze ma l’unica cosa che non può essere fatta è lasciarsi scoraggiare, gettare la spugna…è possibile cercare di riappropriarsi del proprio futuro con costanza e senza eccessi di violenza; d’altronde è così che Gandhi è riuscito a cambiare un pezzetto di mondo.