domenica 26 febbraio 2012

Una crisi "stupefacente": finanziarie, cocaina e psicologia


Quando si parla della crisi economica i principali argomenti sono rappresentati da dati statistici e dagli andamenti di borsa, dai rischi di “default” e dall’indebitamento di stati e di finanziarie, quindi da una serie di fatti; ma tutto questo non è che la punta dell’iceberg, infatti non dobbiamo dimenticare che alla base di tanti “fatti” ci sono le persone che questi fatti li compiono, delle persone che hanno una testa pensante, che hanno un’anima psicologica; ed è questo il punto dove il dato economico e quello psicologico si intrecciano.
Prima di arrivare al punto cruciale della psicopatologia e dell’abuso di sostanze negli ambienti della finanza e della politica, una prima riflessione vuole essere sull’origine della crisi che attanaglia l’Europa; una delle principali cause è stata rappresentata dai crack di alcune grandi finanziarie d’oltreoceano il cui crollo è stato causato dall’eccessiva esposizione in transazioni finanziarie troppo poco sicure e dal conseguente livello di indebitamento.
Questo fatto ci permette di estrapolare un primo dato di valore psicologico: chi ha attivato e portato avanti coscientemente questo processo è stato incapace di far valere il senso del limite; questo può dirci che la tendenza è quella di raggiungere il massimo profitto nel breve termine, al di là di ogni regola stabilita e senza pensare alle conseguenze. Alla base di questi eventi disastrosi c’è una mentalità che dà valore solo al successo immediato ed al potere; altrimenti non ci si spiegherebbe come queste persone non si siano rese conto che stavano correndo incontro alla loro autodistruzione e alla distruzione degli investimenti dei risparmiatori (che poi sono finiti sul lastrico) oltre che verso una crisi che ha provocato un aumento di patologie psicologiche nella gente (vedi art. “La crisi e i suoi psico-derivati”).
In conclusione si potrebbe dire che il disturbo di cui soffrono alcune delle persone che lavorano nella finanza, ma anche nella politica, sia legato alla difficoltà di rispettare gli altri, di provare empatia per il prossimo; viene da sé che da qui al rompere il legame di solidarietà con la società e con le leggi della collettività (quelle leggi che sono nate appunto per garantire la stabilità e la sicurezza degli uomini ) il passo è davvero molto breve. La conseguenza è che non vengono rispettati gli altri come persone ma li si vede solo come semplici strumenti al fine di realizzare i propri scopi e le proprie ambizioni di potere; l’Ego si espande illimitatamente avendo perso i confini rappresentati dagli altri (spogliati ormai del proprio valore) fino a giganteggiare solo ed onnipotente.
Questo tipo di personalità porta però con se anche un ulteriore aspetto, quello che potrebbe essere definito il rovescio della medaglia: l’autodistruttività, quella che appunto si è vista in opera agli albori della crisi finanziaria.
Nessuna persona è tanto sciocca da non riuscire ad accorgersi, anche se in modo parzialmente inconscio, che tutta l’onnipotenza ed il potere che sta accumulando non sono altro che illusioni causate dal fatto che si legge il mondo solo attraverso il proprio “totalizzante” sguardo; in altri termini queste persone non sono psicotiche, hanno comunque integra la capacità di riconoscere il principio di realtà, la concretezza di ciò che accade, e che quindi l’espansione del loro Io, del loro potere, non corrispondono ad un reale aumento di valore della loro personalità, della loro interiorità.
Semplicemente però continuano a mentire a sé stessi fino a raggiungere un tracollo che porta dietro di sé anche le altre persone legate alle loro attività in quello che Risè definisce un “suicidio sociale”; queste persone nel loro delirio di forza e realizzazione non possono in alcun modo riconoscere la loro situazione di reale vuoto e assenza di valore che li farebbe sprofondare in una depressione senza fondo ma che potrebbe fermare il loro delirio.
Da questi caratteri appena delineati si può azzardare a dire che la dinamica psicologica in cui queste persone vivono è di tipo schiettamente narcisistico quando non sociopatico.
In ogni caso il punto dell’autodistruzione e dell’onnipotenza rappresenta il raccordo con l’abuso di sostanze stupefacenti, in particolare la cocaina, sostanza che a partire dagli anni ottanta (periodo in cui, secondo alcuni, sono stati gettati i semi della crisi economica attuale) è stata la sostanza privilegiata del mondo della politica, della finanza e dei “brokers” attivi in borsa.
Ora, se determinate persone che hanno già in partenza un particolare bisogno di acquisire potere ed influenza raggiungono certi livelli di importanza avranno anche una fortissima paura di ritornare allo stato iniziale di impotenza e disvalore che provavano precedentemente (si, perché il lato oscuro di questi comportamenti narcisistici e maniacali non è altro che la depressione) e faranno di tutto per mantenere lo stato di esaltazione che hanno raggiunto, e per farlo uno dei modi migliori è quello di ricorrere alle sostanze stupefacenti che hanno la capacità di far dimenticare il fatto che il potere ed il successo raggiunti non sono altro che una illusione che può cadere da un momento all’altro e che, soprattutto, impediscono di provare un minimo senso di responsabilità nel momento in cui si compiano azioni eticamente scorrette in nome del proprio successo personale.
In base a ciò che ha rivelato uno psicoterapeuta newyorkese che ha in terapia diversi broker di Wall Street pare che l’uso di cocaina (ma anche di prostituzione di lusso) sia molto frequente e addirittura favorito dalle dirigenze delle agenzie finanziarie; pare quindi che non solo la mentalità del tutto e subito in barba agli altri sia presente ma addirittura favorita, infatti solo una persona con un delirio di grandezza e che è incapace di tenere conto degli altri può spingersi fino al punto di raggiungere l’autodistruzione pur di creare profitto.
Ora, a voler guardare le conseguenze provocate dall’abuso di cocaina si trovano dei punti in comune con questa mentalità: usando la cocaina il soggetto si sente proiettato nella vita con una forza ed una “padronanza” straordinarie; da qui nasce l’euforia, uno stato di potere senza confini, di sicurezza vittoriosa verso il mondo. Da questa visione squilibrata si originano però anche aspetti negativi legati alla realtà; la paura verso un mondo troppo pressante, la competitività all’ennesima potenza che provoca sospetto verso gli altri, la consapevolezza che la realtà è troppo grande per controllarla tutta. Da queste crisi che sono sempre sottintese nell’abuso di cocaina si generano agitazione psicomotoria, l’aumento dell’aggressività, la paranoia ma anche la depressione.
In estrema sintesi l’uso di cocaina rinforza alcuni tratti di personalità come l’aggressività, l’egocentrismo ed il narcisismo ed aumenta la possibilità (sulla scia dell’onnipotenza) di attuare comportamenti a rischio sia per sé che per gli altri.
Nel momento in cui l’abuso si trasforma in cronicizzazione il soggetto non può più fare a meno dello stato di espansione del sé, dell’euforia e del potere; si innesca così uno stato paradossale: da un lato il consumo porta a percepire la caduta dell’illusione di potenza (a causa dell’emergere delle paure), dall’altro cerca di mantenere a tutti i costi l’illusorietà di una euforia ed una espansione di sé che non hanno basi concrete su cui basarsi.
Il problema è, tornando a noi, che cercare di mantenere una illusione di profitto infinito e di crescita illimitata non ha fatto altro che portarci un po’ più vicini all’orlo del baratro; se la situazione psicologica di molti di coloro che fanno politica o fanno finanza è davvero questa si perdono in partenza le prospettive per un miglioramento della situazione economica perché nulla può essere costruito da chi è capace di distruggere tutto pur di mantenere una illusione.
Certo questa è solo una riflessione, forse scontata, forse addirittura allarmistica, ma sicuramente un po’ di attenzione anche agli aspetti psicologici alla base dei fatti appare sempre più necessaria e potrebbe aiutare ad evitare il solito ripetersi degli eventi cercando di lavorare sulle cause che li provocano.

domenica 19 febbraio 2012

Carnevale tempo di Caos: la maschera e la sua funzione psicologica

In questi giorni siamo in pieno periodo carnevalesco; il carnevale ha la funzione, nella nostra cultura, di liberarci almeno per alcuni giorni delle regole della vita quotidiana e di sperimentare una parte di sé più libera e giocosa. Ad esso si accompagna la maschera, che invece ha il compito di dare una forma specifica a questa parte di sé, di rappresentarla. Pur essendo dei festeggiamenti che hanno un valore prettamente sociale, la loro antichità ci dice anche che essi simbolizzano anche dei processi psichici profondi legati alle fasi di cambiamento della nostra personalità.
Il carnevale è sempre stato l’unico periodo durante il quale era possibile sovvertire l’ordine prestabilito e rovesciare le certezze di tutto un anno; e lo è stato sempre da tempi antichissimi.
Sembra che questo tipo di festeggiamenti esistesse già ai tempi delle popolazioni mesopotamiche ed egizie; un periodo in cui i padroni diventavano servi (come poi sarà anche al tempo dei romani) oppure le persone indossavano maschere (già nell’antico Egitto).
La maschera ed il carnevale sembrano essere elementi indissolubili a partire dagli albori della civiltà; e c’è un motivo anche per questo, un motivo squisitamente simbolico che li lega e che, essendo lì da tempi immemorabili, ci dice qualcosa di quello che si muove nell’anima più antica degli uomini.
Un breve accenno al significato del carnevale: i festeggiamenti improntati al sovvertimento dell’ordine costituito e delle regole sociali vanno a rappresentare, a livello culturale, il caos da cui è nata la civiltà, nel suo percorso dal disordine all’ordine. Questo particolare motivo lo si può ritrovare in tutte le civiltà, in tutte le cosmogonie c’è una qualche divinità che crea l’universo dal caos primordiale; ecco quindi che il carnevale non fa altro che riproporre questo motivo originario nelle diverse culture e nei diversi tempi. Ora, questo principio è valido anche a livello psicologico; la nostra personalità si “forma” partendo dall’informe, dal caos. In questo senso il carnevale è un po’ una rappresentazione della nostra origine, l’assenza di forma, di regole e di contenimento di alcun tipo.
Ma dopo il carnevale tutte le regole tornano, la normalità e la civiltà riprendono piede; e questo avviene anche dentro di noi, sempre ad un momento di confusione segue il ritorno dell’ordine, di un nuovo ordine che nasce dalla trasformazione di quello vecchio che è causata dal momentaneo caos; insomma, la personalità si rimette in discussione e cambia, si modifica.
Ed è qui che entra in ballo il concetto ed il significato della “maschera”; Jung prende a prestito dal latino il termine Persona (che appunto significa maschera, in genere la maschera dell’attore) per descrivere quella parte della nostra personalità che si fa carico di rappresentarci al mondo esterno. La Persona, la nostra maschera, è l’attitudine a mostrarci a seconda del contesto in cui ci troviamo; è quella “funzione psichica” che ci “trasforma” per esempio in campioni di romanticismo quando siamo col partner per poi “trasformarci” in persone serie ed autorevoli al lavoro. È grazie alla funzione “persona” che sappiamo mostrare al mondo diverse parti di noi, e di adeguarle alla situazione; in qualche modo tramite questo aspetto psichico potremmo riuscire a vivere completamente tutto ciò che abbiamo dentro ed a farlo senza prevaricare gli altri.
Ma come si lega tutto questo al caos carnevalesco?
Dunque, si può aggiungere che la nostra crescita parte da un disordine iniziale e che per crescere abbiamo tutti bisogno di decidere quello che vogliamo essere, spesso lo facciamo per adeguarci alle situazioni esterne, mettendo una maschera appunto, e questo ci permette di resistere agli urti della vita; questa funzione ci rende cioè più “duri” e “compatti”. Per fare un esempio un bambino piccolo non sa ancora bene chi è (una specie di piccolo caos), lo scoprirà nel tempo e quando crescerà potrà dire “io sono così e così…”, nel frattempo inizia a definirsi in base allo sguardo dei suoi genitori, in base alle loro aspettative; potremmo dire in base alle maschere che il padre o la madre gli fanno indossare quando ancora lui non ne ha una propria.
Questo vuol dire che la funzione psicologica che Jung chiama Persona è una maschera che ha, tra gli altri, lo scopo di far emergere dall’indifferenziato, nel tempo, quello che noi siamo veramente e di rappresentarlo; ed è così che si potrebbe spiegare il legame di maschera e carnevale nella coscienza collettiva: se il carnevale è il caos, la maschera rappresenta quel minimo di struttura che ci impedisce di sprofondarci dentro.
Ogni volta che esiste un disagio psicologico la personalità crolla di nuovo nel caos, nell’assenza di regole. Questa è una crisi che serve per mettere in discussione un vecchio adattamento alla vita quando non serve più e si rivela obsoleto, che ormai non ci rappresenta più; dalla crisi la struttura psichica rinasce dalle proprie ceneri come trasformata; come dire che nulla è cambiato ma contemporaneamente ogni cosa ha cambiato forma, ha cambiato cioè la maschera tramite la quale si manifesta e dalla quale è meglio rappresentata.
Il ritorno al caos non è qualcosa da biasimare, anzi è fondamentale per diventare persone nuove e più mature, per cambiare il modo in cui vediamo noi stessi ed in cui ci vedono gli altri.
La maschera però, oltre ad avere lo scopo di far emergere la nostra individualità ha anche una funzione difensiva.
Di solito in questi momenti di messa in discussione abbiamo più bisogno che mai di una maschera provvisoria che ci dia l’idea che non ci siamo “sfasciati” del tutto; abbiamo necessità di qualcosa che leghi la nostra personalità affinchè non rischi realmente di sprofondare in un caos da cui potrebbe non uscire; e questo è un altro significato della maschera. Spesso questa maschera provvisoria e difensiva è rigida, spesso essa stessa ha la forma della nevrosi, ma nonostante ciò è l’unica cosa che fa sentire di essere ancora una entità coesa.
Nel momento in cui si esce dallo stato di caos però la maschera cambia, diventa più flessibile, quasi camaleontica, e si presenta come uno degli elementi psichici che più di altri può aiutarci ad entrare in rapporto con il mondo (tanto interno a sè quanto esterno) senza che questo contatto crei problemi eccessivi; rappresenta quindi un fattore di adattamento sano.
Così, come la maschera ci accompagna dal caos di carnevale all’ordine, nello stesso modo, nel suo corrispettivo psicologico, ci accompagna dal caos della nevrosi all’ordine di una personalità armoniosa ed  equilibrata e ci aiuta a esprimere la parte più vera e profonda di noi.

martedì 14 febbraio 2012

San Valentino tra significato e psicologia

 Oggi è San Valentino, festa degli innamorati, festa delle “unioni” legate dall’amore; ma da dove deriva questa festività e cosa potrebbe comunicarci, quale potrebbe essere il suo “senso”?
San Valentino è il patrono di queste unioni, e questa tradizione pare legata al fatto che tra le opere che ha compiuto in vita alcune fossero legate alla capacità di riconciliare gli innamorati ( per citarne uno pare che alla vista di due fidanzati che litigavano decise di interromperli e fargli volare intorno coppie di piccioni che manifestavano atteggiamenti amorosi, riuscendo a riconciliarli).
Oltre a questo però non bisogna dimenticare, a livello storico, il fatto che la religione cristiana tendeva a sovrapporre nuove feste a quelle pagane più antiche, e per fare ciò queste ultime venivano trasformate e spesso edulcorate; infatti la festività cristiana di San Valentino corrisponde ai Lupercalia dei romani; festività che erano legate ai riti per la fertilità.
I primi cristiani quindi sostituirono il rito della fertilità con quello dei sentimenti, spostando l’accento dall’aspetto fisico a quello sentimentale del legame di coppia; cosa sicuramente più in linea con il pensiero cristiano.
Ma cosa erano i Lupercalia? Queste feste avevano un doppio significato per i romani;
  • da un lato rappresentavano dei riti “beneaugurali”, proprio nel periodo di febbraio infatti c’era maggio rischio che, essendo alla fine dell’inverno, i lupi (lupercalia dal latino Lupus) ormai stremati dalla fame, uscissero dai boschi per aggredire le greggi e uccidere il bestiame;
  • dall’altro lato (e qui entra in ballo il rito della fertilità) essendo essendo appunto la fine dell’inverno, si cercava di propiziarsi il ritorno della primavera, quindi la rinascita; pare che si colpissero le donne che desideravano restare incinte con delle strisce di pelle di ariete, simbolo di fertilità, a simboleggiare l’intervento della potenza della natura che tramite la sferzata sulla pelle della donna poteva renderla fertile; queste “frustate” simboliche venivano inflitte da uomini che correvano per le città vestiti appunto con pelle di caprone.
Fino a qui la derivazione della festa; due principali significati quindi, protezione e fertilità, che possono essere uniti per darne il senso, che è quello che ancora oggi troviamo nella festività degli innamorati.
L’aspetto della fertilità è quello che può essere individuato per primo; al di là della feritilità sessuale, un rapporto di coppia è sempre, da un punto di vista sentimentale, “fertile”, nel senso capace di rinnovarsi, di ri-generarsi e trasformarsi, di morire in un modo per rinascere con uno sguardo differente e nuovo. Ma un senso “nuovo” è anche fragile, debole ed indifeso; da qui il senso della “protezione”, difesa da quegli affetti che possono “smembrare”, separare la coppia ed il sentimento che li unisce. Non per niente l’etimologia del temine Lupo deriva da “smembrare” “dilaniare”; in questo senso proteggere le pecore (animali da branco, uniti per eccellenza) dal lupo significa proteggere una unione nel suo nascere o nel suo rinnovarsi dalle tendenze distruttive della psiche che albergano in ognuno di noi.
Ma si può ancora andare avanti su questa ipotesi; simbologicamente la pecora, anche nei sogni, va a rappresentare la tendenza a restare inconsci, a rimanere legati al gruppo ed ai suoi luoghi comuni; l’animale da branco non indica altro che la nostra tendenza (o la paura?) ad emergere dal gruppo ed affrontare le insicurezze. Nel nostro contesto però la protezione del gruppo, delle tendenze della società, è funzionale e positiva; un rapporto d’amore che nasce o si trasforma ha innanzitutto necessità di essere protetto; ha la necessità di restare ancora un pò inconscio, nella penombra; e forse è questo il motivo per cui San Valentino è anche una festa di luoghi comuni; per esempio può diventare una maschera dietro alla quale si cela un rapporto di coppia che non va più ma che, se vogliamo rinnovare, deve essere sopportato nell’attesa del momento migliore per fargli prendere una strada diversa; in questo caso la “maschera”, la “consuetudine” fa prendere tempo per non distruggere le cose troppo presto. Viceversa può essere che la coppia sia nuova, che ancora non ha affrontato le divergenze; allora la consuetudine diventa un modo per non “fasciarsi la testa prima di sbatterla”, un modo per dimenticare la razionalità e muoversi sulle ali del sentimento. Non per niente una ulteriore origine del termine Lupo è quella di “luce”, la luce del pensiero razionale che a volte va messa da parte per non mettere a rischio un sentimento che nasce.
Allora San Valentino è proprio questo; una occasione per riscoprire i sentimenti che legano le persone, un momento durante il quale poter, fosse anche per un giorno, dimenticare pensieri e preoccupazioni che negli altri giorni minano la serenità dei rapporti per riscoprire sentimenti più profondi e, perchè no, più ingenui ma non per questo meno veri.
Buon San Valentino a tutti.