Illustrazione dal "Libro Rosso" di C. G. Jung |
Spesso
i comportamenti frettolosi, accelerati della nostra epoca nascondo una forte
paura del vuoto e della depressione. Ma se da un lato questa patologia provoca
dolore e solitudine, dall’altro può portare, se ben affrontata, delle
insospettate risorse creative.
Della
nostra epoca si dice sia “l’epoca della maniacalità”, della fretta e dell’ansia; in effetti è vero che siamo sempre più “di
fretta”, perfezionisti, preoccupati, accelerati….e di conseguenza anche un po’
più superficiali.
Ma
quante volte il perfezionismo
nasconde la paura dell’abbandono e del biasimo? Quanto spesso l’accelerazione e la fretta mascherano la paura del vuoto? Quanto la possibilità di avere molte più
informazioni e competenze superficiali si trasforma in paura
dell’approfondimento, in svogliatezza?
In
psicologia si dice che l’ansia vada “a braccetto” con la depressione, indicando con questo che spesso, molto spesso, la
prima non è altro che la maschera della seconda.
Allora,
forse, più che vivere in un’epoca maniacale viviamo “anche” nella sua
controparte, un’epoca depressiva;
qualcuno che non ricordo spiegava molto bene che in tempi come i nostri la
depressione diventa una specie di “bene fondamentale”, perché va a soddisfare
la naturale esigenza dell’uomo di approfondire sé stesso, le sue motivazioni e il senso della sua vita.
Vivendo in continuo movimento e mutamento viene a mancare la possibilità di
fermarsi, di sostare dentro se stessi e comprendersi un po’, fare il punto della
propria situazione esistenziale. A questo punto il comparire di periodi di
depressione (ovviamente non stiamo parlando della vera e propria depressione
patologica descritta nei manuali
diagnostici ma di quei momenti di profondo abbattimento in cui capita di
incappare nella vita), diventa funzionale proprio a questi obiettivi.
Con
questo non si vuole assolutamente minimizzare la portata “deflagrante” di un
episodio depressivo, che provoca sempre una sofferenza acuta quanto “sorda” e
di difficile risoluzione. La solitudine è forse una delle principali sofferenze di una persona depressa,
quella straziante sensazione che non si possa fare affidamento su nessuno al di
fuori di se stessi, quel circolo vizioso che continua a far sentire separati
dal resto del mondo, una
sofferenza che sembra nutrirsi e vivere di se stessa. Le persone che soffrono
di più sono proprio quelle che non hanno la possibilità di dialogo, di
confronto con gli altri; noi tutti infatti siamo prepotentemente sospinti a
ricercare rapporti, perché è solo tramite questi che possiamo veicolare fuori
di noi, e conoscere, le nostre emozioni.
Nei
casi più gravi l’impressione è quella di una caduta senza ritorno; non c’è più
nulla nel mondo esterno che possa aiutare, nessuno stimolo che solleciti l’interesse
o che possa accendere un barlume di progettualità.
Ma
allora come si fa per uscirne
e, ancora, come si fa per convivere con questo stato dell’anima quando si presenta? L’unica soluzione pare essere
quella di attribuire un senso agli eventi che provocano questo dolore. In questo caso è interessante quanto
affermato da Carotenuto:
“
Le ferite dell’anima, però, possono trasformarsi in principi attivatori del
nostro risveglio psicologico, capaci di innescare la nostra rinascita, il
cambiamento a cui tutte le esperienze vissute ci hanno preparato. La
particolarità della sofferenza, infatti, consiste nella possibilità che essa ci
offre di trarre nutrimento dallo sviluppo della nostra vita interiore…… la
sofferenza e la “prigionia” della nostra anima illuminano e rendono visibile il
patrimonio più prezioso e nascosto delle nostre risorse psichiche.”
Uscire
da una depressione significa portarsi dietro un pesante ma ricco fardello:
tutte le esperienze psicologiche e tutte le riflessioni generate dalla depressione
stessa. È per questo che in genere dopo un episodio depressivo se ne
manifesta uno maniacale, di
entusiasmo e di confusione, ricco di idee e spunti creativi che se si avrà costanza potranno essere messi a
frutto. Non per niente molti artisti riferiscono di aver creato le loro opere
migliori in una sorta di “incendio creativo” conseguente ad un periodo di
depressione e profonda solitudine; questa infatti più di altre sofferenze
psicologiche rappresenta una possibilità di metamorfosi e, spesso, fonte di arricchimento interiore.
Ovviamente
questo non vuol dire che una depressione sia qualcosa di auspicabile;
tutt’altro, dovremmo però essere capaci di entrare più spesso in contatto
con le nostre profondità inconsce,
trovare più spesso dei momenti per stare da soli con noi stessi; nel momento in cui le occasioni di
“introversione” trovano libera
espressione nella vita quotidiana diminuisce il rischio di affrontare un vero e
proprio episodio depressivo.
Avremmo
così più momenti di consapevolezza e saremmo capaci di trovare soluzioni
creative alle nostre difficoltà molto più spesso e senza dover necessariamente
attendere di sprofondare nel buio.
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