sabato 28 gennaio 2012

Chi ha paura dei Trent'anni?

Pare che sempre di più l’età compresa dai 30 ai 40 anni sia considerata particolarmente critica; si scrivono libri sui trentenni di oggi, una specie di nuova generazione allo sbando; in realtà la crisi dei 30 non rappresenta una novità esclusiva degli ultimi anni, ma è una crisi naturale all’interno della crescita umana e come tale rappresenta una soglia che va oltrepassata per aprire le ulteriori porte della vita.

In via generale l’età adulta può essere divisa in 9 periodi ognuno dei quali comporta impegni, cambiamenti ed obiettivi specifici da raggiungere, in seguito sono riportati i primi 6:
1) 22-28 anni, l’inizio dell’età adulta, periodo durante il quale si fanno importanti scelte professionali ed affettive; si sceglie un partner con cui si decide di costruire un futuro, ci si inserisce nel mondo del lavoro ed in via generale si cerca di realizzarsi, di individuare le basi sulle quali costruire il proprio progetto di vita.
2) 28-33 anni, il passaggio dei 30 anni; all’interno di questa fase si cerca di consolidare  e completare le scelte fatte in precedenza.
3) 33-44 anni, la piena maturità, il compito di questa fase è quello di rendersi completamente autonomi, essere coerenti e responsabili verso le scelte precedentemente effettuate.
4) 40-45 anni, la transizione verso l’età di mezzo, è l’età dei bilanci tramite i quali si cerca di capire se si è stati capaci di realizzare il progetto da cui si era partiti e nel caso si cerca di cambiare la propria vita modificando il progetto iniziale.
5) 45-50 anni, l’inizio dell’età di mezzo, in questa fascia di età possono avvenire profondi cambiamenti in campo affettivo o professionale determinati dalle riflessioni della fase precedente, può cambiare il modo in cui ci si relaziona con gli altri. Il bilancio esistenziale può portare ad una spinta positiva a migliorare la propria vita oppure possono provocare pessimismo, rimpianti e senso di fallimento.
6) 50-55 anni, fase di transizione dei 50 anni durante la quale si sperimentano nuovi progetti ed una nuova visione del mondo.

Osservando le varie fasi si può notare come il problema dei trent’anni non è tanto il loro preciso scoccare né i possibili bilanci, questi infatti appartengono generalmente ad una fase successiva; a trenta, trentacinque anni non si parla di valutazioni di ciò che si è realizzato; il problema è rappresentato dalla coerenza o meno del progetto di vita individuato per sé; in sintesi la domanda che ci si pone è se si vuole davvero quello che si desiderava prima e, soprattutto, il dover adeguare il progetto alla realtà; tutto questo richiede una notevole flessibilità che non sempre è possibile a 30 anni. La flessibilità è proprio la questione principale; passate le utopie e la visione rosea sul mondo ci si accorge che esso non è necessariamente come noi lo vorremmo e che nel realizzare i propri desideri bisogna tenere conto delle sorprese che può farci.
Oggi in particolare la questione è più spinosa che mai anche a causa dei cambiamenti sociali; viviamo in un momento storico caratterizzato dalla precarietà, del lavoro, degli affetti e di chissà quant’altro e questa incertezza (che potremmo anche definire un ventaglio di possibilità superiore alla nostra capacità di valutazione) rende difficile raggiungere l’obiettivo di questa fase, la coerenza delle scelte.
A tutto questo si dovrebbe aggiungere che intorno ai 35-40 anni prende il via con prepotenza quello che Jung chiamava “percorso di Individuazione”, quel momento in cui si valuta ciò che si è realizzato in precedenza e da cui parte una realizzazione di sé in senso più “spirituale” che concreto. Parafrasando significa che è proprio in questo momento che si decide cosa si vuole dalla vita e quello che sarà il proprio originale ruolo nel mondo.
Originalità può essere una ulteriore parola chiave affiancata ad un altro termine, socialità.
Se da un lato si consolidano le proprie scelte, o almeno ci si prova, ci si chiede se tutto ciò corrisponde a sé, al proprio essere. La socialità fa la sua comparsa nel momento in cui ci si domanda quanto il proprio progetto sia “personale” e quanto sia stato in qualche modo influenzato dalla cultura in cui si vive, o quanto l’individualità degli altri (anche quelli compresi nel progetto) mette i bastoni tra le ruote al progetto fatto ed al suo consolidamento; e allora ecco tante domande; davvero voglio una famiglia? Davvero è questa la persona che voglio al mio fianco? Davvero voglio essere single? Davvero amo questo lavoro? Davvero mi piace vivere alla giornata? Davvero amo questa routine? E chi più ne ha più ne metta fino alla domanda ultima; ma sono io che sono sbagliato o lo sono tutti gli altri, a partire dal partner o dai colleghi di lavoro?
E aggiungendo domande su domande si entra in crisi e si vive in stato di conflitto con se stessi e con il mondo. Montano dentro l’incertezza e l’insofferenza, aumenta il nervosismo, ci si chiude in sé oppure si attaccano gli altri, arrivano l’ansia e la paura nei confronti della propria vita e la sensazione di essere ad un vicolo cieco che fa venire voglia di scappare.
Il risultato di questa catastrofe è che si finisce per pensare in una modalità aut-aut, o una cosa o l’atra, o io o gli altri; allora abbiamo le fughe, dalle relazioni come dal lavoro, per continuare poi a procedere di partner in partner e di lavoro in lavoro fino a ritrovarsi ancora insoddisfatti nell’intimo; oppure, viceversa, abbiamo la cristallizzazione delle nostre relazioni e del lavoro, dove non appare mai un alito di novità non tanto per paura del cambiamento quanto per resa definitiva, per ritrovarci alla fine in preda al vuoto di senso ed alla monotonia.
Eppure proprio nella domanda si trova la soluzione; basta provare a guardare la situazione da un’angolatura diversa. Nel momento in cui la propria individualità e quella degli altri entrano in conflitto l’unica soluzione è la sintesi; si potrebbe dire che è arrivata l’ora di capire quale è la propria “missione”, ossia capire cosa Io posso dare al mondo; ed è proprio questo l’obiettivo di questa crisi, sensibilizzare il singolo verso il mondo che lo circonda; l’apparente conflitto si risolve con una pace in cui la propria originalità dona qualcosa di sé a ciò che la circonda.
Questo vuol dire riuscire ad essere creativi, a pensare che le proprie esperienze di vita non devono essere solo risolte e portate a termine ma anche scambiate e comunicate, entrando nell’ottica che ciò che si vive in prima persona può portare difficoltà ma anche favorire l’intrecciarsi di vite e di esperienze, perché la vita si crea “vivendola” e non solo “risolvendola” e “consolidandola”.

2 commenti:

  1. Bello. E molto utile. Grazie

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  2. La vita dopo i 30 anni è la cosa più inutile che ci possa essere... aimè, io ho iniziato il declino a 26...

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