In effetti ci sono persone nelle quali anche di fronte ad eventi positivi come una promozione, una vincita al gioco, la nascita di un figlio etc. prevale il disagio per il cambiamento piuttosto che il piacere; in generale bisogna ammettere che nessun cambiamento possa portare con sè esclusivamente effetti positivi o negativi, il fatto è che di fronte alle modifiche (non solo concrete ma anche psichiche) sale l’incertezza, la sottile paura di non riuscire a gestire il nuovo evento, una sorta di ansia anticipatoria che può provocare preoccupazione o agitazione, in sintesi vengono attivati dei meccanismi difensivi che non sono stati scelti mediante una valutazione razionale, ma che rappresentano una risposta percepita come inevitabile, automatica ed inspiegabile per proteggersi da ciò che è sconosciuto; ed ecco la paura di cambiare.
Tutto ciò può sembrare assurdo ma in realtà non lo è, tanto che nel DSM IV (manuale diagnostico dei disturbi mentali) esiste uno specifico disturbo legato a questa condizione, il disturbo dell’adattamento, diagnosticabile nel momento in cui la risposta di un soggetto ad un cambiamento di vita comporta un marcato disagio sociale e lavorativo, e questo indipendentemente dal fatto che questa novità possa essere positiva o negativa.
Al di là dell’aspetto strettamente diagnostico, va detto che le cose più importanti per l’essere umano sono la sicurezza, e la stabilità, e le variazioni indipendentemente dal loro valore vengono viste con una sorta di inconscio sospetto.
Questo meccanismo si presenta già nel bambino con il suo bisogno di attaccamento, anzi, è così forte il bisogno di sicurezze e di cure che risulta preponderante persino rispetto alla bontà o meno del comportamento del genitore (tra l’altro è per questo che un bambino non riesce a denunciare un genitore che lo maltratta, perchè la paura di perdere chi si occupa di lui è più forte di qualunque tipo di giudizio).
Ora, basta sostituire l’immagine del genitore con quella dello stile di vita che una persona conduce per capire quanto questo ragionamento ci segua anche da adulti; questo è il motivo per cui a volte persone che stanno male a causa di un rapporto o di una situazione lavorativa non riescono ad abbandonarla, qui vale il famoso detto “chi lascia la strada vecchia per la nuova….”, alcune persone lo hanno marchiato nell’anima così forte da non riuscire ad affrontare i cambiamenti anche quando risulterebbero positivi se non addirittura necessari.
Fino a qui abbiamo notato i sintomi, il disagio ed i suoi segni, e abbiamo cercato anche le motivazioni sottostanti, quelle nascoste nel passato; ma la paura di cambiare ed il suo superamento tirano in ballo il suo funzionamento; solo se capisco come funziona posso riparare un oggetto, così vale anche per la psiche e le sue dinamiche; in sintesi è necessario chiedersi cosa accade tra il momento in cui questa paura inizia a svilupparsi nel passato e quello in cui si manifesta nel presente.
Innanzitutto quando si parla di cambiamento interiore si parla anche di cambiare la visione che abbiamo di noi stessi, una visione che deve in qualche modo adeguarsi tanto al mondo esterno con le sue richieste, tanto a quello interno con suoi bisogni e le sue pulsioni; e l’immagine di noi si modifica tanto di fronte a cambiamenti positivi quanto negativi.
Erich Fromm parlava di “fuga dalla libertà”, una sorta di paura di essere finalmente liberi; quando si impone una modifica del proprio comportamento usuale quindi non c’è solo paura di perdere la sicurezza ma anche paura di ciò che si potrebbe diventare. Fromm appunto ci dice che l’uomo ha paura della libertà perchè fondamentalmente ha paura di prendersi la responsabilità di se stesso.
Su questo punto il passato con il suo bisogno di sicurezza ed il presente con le sue molteplici sfaccettature si toccano da vicino; se cambio non metto in discussione solo me ma anche il mondo che mi circonda e che mi ha visto in un certo modo fino ad ora; la domanda che sorge è se questo mondo mi accetterà anche se mi manifesterò diverso da come mi conosce; perchè il mondo, la rete sociale che mi sostiene, è in fondo la mia sicurezza e forse non me la sento di rischiare di farne a meno; ma questo significa che non me la sento di combattere per la mia libertà e per quello che potrei diventare e che potrebbe anche farmi stare meglio, oppure, ancora, significa che parto dal presupposto che la mia “libertà” non verrà accettata prima ancora di saperlo, forse perchè a non accettarla sono io per primo.
La paura del cambiamento quindi si sviluppa su di un doppio binario, l’accettazione del cambiamento da parte del mondo e l’accettazione del cambiamento da parte di me. Se sento la paura di mostrarmi cambiato è forse perchè sotto sotto ho paura di me, o almeno di una parte di me che sta emergendo.
Sotto questo punto di vista la paura di cambiare si trasforma da paura delle incertezze a paura di se stessi, di quelle parti di sè che creano inquietudine, che emergendo potrebbero cambiarci e che potrebbero essere giudicate male dagli altri perchè in primis mal giudicate da noi stessi. Eppure dentro queste parti per così dire “nuove” si nascondono le nostre capacità, per esempio la capacità di reagire positivamente ad un cambiamento imposto oppure a situazioni che avvelenano l’anima, per non parlare della capacità di gestire gli eventi positivi senza agire sulla scia del comportamento maniacale.
Come al solito il primo passo da fare è quello di riuscire ad accettare se stessi e, soprattutto, le parti di sè che non si conoscono bene alle quali non ci si sente liberi di dare spazio. Fatto questo la possibilità di attuare delle modifiche nella propria vita aumenta, e così si decide di fare un figlio, di cambiare partner, di cambiare lavoro o ricostruirlo dopo averlo perso, gettandosi in una nuova avventura. Chiaramente questo può provocare inquietudine alla persone più vicine ma questo passo diventa importante perchè è alla base del rispetto di sè come individuo, accettarsi e correre il rischio di mostrarsi diversi dal solito anche agli altri presuppone la capacità di fare affidamento su di sè, di assumersi la responsabilità di rinascere da se stessi.
Tutta questa dinamica passa attraverso il nostro Io, quella parte di noi che è cosciente di se stessa e del mondo, quella istanza psichica che ci permette di dire “io sono così e così” e “il mondo è così e così”. L’Io è depositario di quelli che sono gli schemi ed filtri attraverso cui leggiamo il mondo, quello che, per così dire, decide se vogliamo organizzare i “libri” delle esperienze per autore, piuttosto che per editore o argomento; è il responsabile del nostro metodo di apprendimento e lettura della vita.
Ogni cambiamento, imposto da fuori o da dentro di sè, passa attraverso questa fondamentale funzione; cambiare costringe l’Io a cambiare metodo di catalogazione; questo non comporta solo l’organizzazione delle nuove esperienze di vita ma anche e soprattutto la ri-organizzazione delle eserienze del passato.
Anche questo è uno dei motivi della paura del cambiamento: cambiare, soprattutto in maniera radicale, comporta la riorganizzazione del passato oltre che del presente e del futuro; è quindi una grande opera. Ma qui, in fin dei conti, si torna al punto di partenza, il bisogno di sicurezza e la paura di sè, perchè la paura che riorganizzando e ristrutturando si perda qualche certezza oppure che emerga qualcosa che avremmo voluto dimenticare è talmente forte da riuscire ad impedire qualunque progettualità di cambiamento.
Ancora di più allora per affrontare al meglio i cambiamenti è necessario essere disponibili a rischiare e, soprattutto, a rischiare di conoscere meglio se stessi.
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