domenica 2 dicembre 2012

Siamo ancora capaci di "perderci"? Riflessioni sul tempo "perso"


Una non troppo vecchia pubblicità di automobili chiedeva al telespettatore se fosse ancora capace di “perdersi”, in effetti al giorno d’oggi questa domanda appare tutt’altro che banale.
La nostra si è trasformata in una cultura della fretta, corriamo sempre, per andare al lavoro, per tornare a casa, per accompagnare i figli da qualche parte….corriamo anche quando dobbiamo farci una vacanza “rilassante”, da un monumento all’altro, da un locale all’altro, durante il week-end facciamo la “movida” (termine sicuramente emblematico).
Ma tutto questo movimento non corrisponde a sua volta ad un “perdersi”?
Dipende da cosa si intende con questo termine. Se perdersi equivale ad essere disorientati nella vita allora, si, sicuramente ci perdiamo spesso a fare cose la cui reale necessità appare dubbia. Ma se perdersi equivalesse, al contrario, ad un lasciarsi andare a se stessi, ad aspettare che si creino delle esigenze reali, fossero esse concrete o “dell’anima”, allora di questo oggi siamo meno capaci che mai.
È il famoso contrasto tra mondo esterno e mondo interno; equivale al chiedersi se le nostre azioni siano dettate da motivazioni personali o da esigenze esterne a noi, ossia dall’influsso sociale.
A ben guardare il nostro essere persi nel mondo corrisponde spesso ad un tentativo di riempire i “buchi” della vita; fino a che corriamo dietro alle centomila cose da fare non abbiamo il tempo di pensare a noi stessi, non abbiamo tempo di “prenderci il tempo”; ma basta un fine settimana durante il quale non ci siamo organizzati a fare qualcosa di specifico (fosse solo seguire il calcio) che ci sentiamo veramente “persi”, non sappiamo cosa fare, ci annoiamo.
In questo senso il termine “prendersi il tempo” è molto significativo, indica una posizione “attiva” nei suoi confronti.
Cercare di “riempirlo” è un modo come un altro per significare che ne abbiamo paura e che quindi ci limitiamo a “subirlo”, in sintesi assumiamo nei suoi confronti una posizione passiva, finiamo per esserne determinati, facciamo le cose per evitare di confrontarci con i tempi morti.
Al contrario allora prendersi il tempo corrisponderebbe ad un atteggiamento attivo, creativo; per esempio accettare la noia ed aspettare che si trasformi in qualcosa oppure in niente, in questo modo i “tempi morti” vengono accettati e ci si confronta con loro alla pari, il tempo magari trascorre “vuoto” ma non provoca sensazioni di disagio.
Winnicot, un famoso psicanalista del passato, affermava che il contrario di esistere non è “non esistere” ma bensì “reagire”; se ogni volta che facciamo qualcosa è solo come reazione a qualcos’altro vuol dire che non esistiamo per noi stessi ma che facciamo le cose in reazione a conflitti (con il mondo o con noi stessi) con i quali combattiamo le nostre personali guerre; questo significa che determiniamo quello che siamo esclusivamente in confronto con qualcosa di altro, dimenticando di guardare ciò che siamo davvero nel nostro profondo. È ovvio che entrambi gli atteggiamenti sono necessari, ma non dovrebbero mai essere sbilanciati troppo a lungo.
Il nostro perderci oggi corrisponde al continuo cercare alternative per riempire momenti vuoti, noi non ci perdiamo mai realmente, lasciandoci andare a quello che capita, noi in realtà abbiamo già molte alternative da attivare; la noia non fa in tempo ad arrivare che già sappiamo cosa fare, come “reagire” ad essa.
Da un punto di vista psicopatologico finiamo per soffrire di continua ansia anticipatoria, ossia la paura per quello che succederà, al cui fondo c’è sempre la paura del vuoto. Oggi la nostra è definita una società ansiosa ma a ben guardare forse bisognerebbe chiedersi se non sia una società depressa.
L’ansia infatti va spesso a “braccetto” con la depressione, è lo “psicofarmaco” più utile (ed utilizzato) contro il senso di vuoto, ossia la depressione. Questo significa che abbiamo paura di noi stessi e di ciò che ci alberga dentro, e che non vogliamo vederlo; la depressione, almeno nella sua forma reattiva, secondo qualcuno può essere una reazione a questa poca attenzione a sé, un tentativo estremo che la nostra psiche fa per farci confrontare con i nostri aspetti inconsci, tra cui le nostre necessità più profonde alle quali non diamo attenzione.
Senza voler davvero andare così lontano basti pensare che la noia per esempio è anche una possibilità creativa, nel suo manifestarsi crea la frustrazione, l’insoddisfazione, che ci costringe a trovare soluzioni alternative; in questo senso basta guardare i bambini ed i giochi che si inventano quando non sanno cosa fare, i giochi più strani ma anche i più divertenti. E questo è molto diverso dall’avere una soluzione già pronta, ha il sapore del “sorprendendente”, quante volte ci scopriamo o ci siamo scoperti a divertirci più del solito, magari con il partner oppure in famiglia o con gli amici, proprio nelle situazioni noiose? Questo perché le soluzioni che emergono sul momento sono più significative, parlano di quello che siamo in quel preciso momento della vita, al contrario delle alternative che vengono preparate in anticipo ed appaiono vuote di senso.
Allora diventa sempre più importante oggi riuscire a perdersi davvero, con consapevolezza e tranquillità, e lasciarsi andare al momento, un momento che più di ogni altro ci parla di quello che siamo ora e ci fa sentire profondamente dentro noi stessi, e ci può aiutare più di qualunque altra cosa a conoscerci o riconoscerci per la nostra speciale unicità.

Nessun commento:

Posta un commento