La rivoluzione sessuale degli anni 60/70 ha inciso
enormemente su quello che è il “gioco
dei ruoli” tra uomini e donne, un “gioco” che è molto cambiato negli ultimi
anni e non corrisponde più con gli ideali “classici” dell’uomo che lavora
e porta a casa lo stipendio mentre la donna resta ad occuparsi della famiglia e
dei figli nel ruolo di “angelo del focolare”.
Oggi come risultato del famoso ’68 gli equilibri
della coppia sono modificati e gli uomini stanno scoprendo dei nuovi
sentimenti, quelli che erano tralasciati perché complementari alla donna e che
ora anche gli uomini si trovano a vivere e quindi a dover comprendere. Uno di
questi nuovi sentimenti è l’invidia
per le donne, già affrontato nel precedentearticolo, un altro è la competizione
con le donne, una vera e propria novità per le donne e gli uomini della seconda metà del secolo,
ormai, scorso.
Mai come oggi infatti i due sessi sono simili e nello stesso tempo in conflitto; in
passato gli ambiti lavorativi, gli obiettivi, erano in ambiti differenti e
distinti per sesso, per ruolo, basti pensare che esistevano dei veri e propri
oggetti per donne e altri per uomini; prima degli anni ’50 nessuna donna
avrebbe mai saputo portare un’automobile mentre nessun uomo avrebbe mai saputo
utilizzare un ago da rammendo. Oggi gli
obiettivi e gli interessi sono condivisi, tanto nell’ambito culturale
quanto lavorativo ed economico, e portano competizione fra i due sessi. Ma la
competizione, così come l’invidia, oltre ad esprimere un disagio ed una forma
di conflitto relazionale tra uomini e donne implica anche una diversa visione
dell’altro, percepito come persona che manifesta le stesse capacità e gli
stessi diritti.
La competizione infatti implica il rispetto e la considerazione del proprio
“avversario” che può diventare una possibilità di solidarietà non più
basata sui bisogni ma sulla stima reciproca; questo è uno dei punti centrali
del cambiamento, il passaggio dalla
complementarietà uomo/donna, in cui l’uno aveva bisogno dell’altra e
viceversa, alla similarità in cui
entrambi hanno le stesse qualità. Ovviamente questo cambiamento manifesta sia
elementi positivi che negativi; percepirsi simili ha sicuramente un grande
valore, permette la stima reciproca e una
possibilità di comprensione e compartecipazione fra i sessi mai vista
precedentemente, ma contemporaneamente rischia di portare ad una vita
solipsistica in cui non si ha mai bisogno dell’altro, che infatti spesso viene
cercato solo per brevi momenti in cui si evade da una single-tudine da cui è quasi impossibile separarsi.
Un campo significativo in cui la competizione tra
uomo e donna si è allargata è sicuramente quello della gestione dei bambini, che solo negli ultimi anni è stato stabilmente
conquistato dagli uomini.
E qui si arriva ad un altro “nuovo sentimento” maschile, quello della paternità; ovviamente non che questo in passato fosse assente ma
oggi la cosiddetta funzione paterna
di cui si parla tanto si è parzialmente spogliata (a volte anche troppo) del
cosiddetto “ruolo di capofamiglia” basato sull’obbligo di mantenere i figli e
far rispettare loro le regole per allargarsi anche al mondo dei sentimenti, un mondo che permette ai nuovi padri una relazione più ravvicinata con i figli e
più carica di affettività. Per esempio il rapporto padre-figli fa oggi meno
riferimento a canali comunicativi razionali o verbali (come in passato quando i
padri entravano in contatto con i figli quando erano già più grandicelli e
capaci di comunicare con consapevolezza) per utilizzare la comunicazione corporea ed il gioco, ed è proprio per questo che
oggi riescono a rapportarsi anche con i figli molto piccoli senza dover
utilizzare l’intermediazione della madre.
Come già detto anche nell’ambito della paternità
vige il nuovo principio di similarità
e quindi l’uomo si rende più simile alla donna, infatti per accudire un bambino
piccolo anche lui (come anche la donna) deve attivare la propria componente femminile materna; in altre
parole significa che per occuparsi del bambino piccolo anche il padre deve
risalire a quello che è stato il rapporto
con sua madre e riattivare quelle capacità materne che quest’ultima ha
lasciato latenti dentro di lui accudendolo da piccolissimo.
In questo modo il padre sviluppa quell’insieme di capacità empatiche, di sostegno, di
accudimento e nutrimento non solo fisico ma anche affettivo che viene
appunto chiamato “maternage”, uno
stato in cui appunto tanto l’uomo quanto la donna si lasciano guidare dalla
propria componente materna e dal comportamento del bambino stesso.
Ma a questo punto bisogna ricordare che un eccesso di similarità nasconde anche
aspetti negativi; se infatti i padri per entrare in rapporto con i figli in
modo più “affettivo” devono entrare in
contatto con la parte femminile questo non
significa che debbano liberarsi della componente più specificamente maschile,
anche perché questo si risolverebbe in un problema anche per la crescita dei
figli.
La caratteristica della parte maschile infatti è
quello di stabilire le differenze, e
regole, e quindi anche le differenze di genere sessuale per esempio;
infatti pare che il padre, a differenza della madre, è il componente della
coppia genitoriale che tende a giocare
differentemente con il figlio maschio rispetto alla femminuccia,
trasmettendo al primo gli aspetti maschili e rafforzando nella seconda quelli
femminili. Inoltre mentre le madri tendono a prediligere attività tranquille
che stimolano l’attenzione nei bambini, i padri sono quelli che propongono attività maggiormente ricche di
stimoli fisici e quindi più variate, manifestandosi come l’elemento ideale
per traghettare i figli verso il mondo esterno, che è appunto ricco di stimoli,
e quindi verso la crescita.