Nei giorni dell’8 e del 9 dicembre in molte zone d’Italia si rinnova la tradizione dei falò, usanza antica quanto la notte dei tempi legata alla simbologia del fuoco e che ci può far riflettere su di noi perché rappresenta le fiamme delle passioni e delle emozioni che se a volte possono realmente travolgerci e farci sragionare più spesso ci aiutano a non sentirci soli nel mondo.
Attualmente la tradizione dei falò è legata ai festeggiamenti dell’Immacolata ma all’origine nasce come rito propiziatorio per la fertilità dei campi, è infatti in questo periodo che il grano spunta dalla terra e il fuoco serviva per allontanare la sfortuna e garantirsi un buon raccolto; era un modo per aiutare la natura a superare l’inverno. Anche questa è una tradizione legata alle festività della luce (vedi post su Halloween ) atte a favorirne il ritorno dopo il buio della stagione invernale.
Il falò è una pratica propiziatoria legata al simbolo del fuoco, uno dei 4 elementi, forse quello considerato più nobile, esso scalda, illumina e, soprattutto, trasforma.
Il fuoco può manifestare tanto una valenza negativa quanto una positiva, per esempio nei sogni, almeno in via generale, è diverso se compare un incendio piuttosto che un focolare oppure, appunto, un falò.
Nella psiche dell’uomo il fuoco è strettamente legato alle emozioni travolgenti, alle passioni, anche quelle violente che conducono all’esaltazione o al blocco psicologico, letteralmente ci si “infiamma” per qualcosa e nasce un incendio che letteralmente brucia le capacità di adattamento della psiche. In questo caso emerge l’aspetto incontrollabile delle fiamme, l’ardore si impossessa di noi nei momenti meno opportuni e proprio come il fuoco può essere ingestibile; è vero che a volte le emozioni violente hanno breve durata (un fuoco di paglia) ma è anche vero che se non vengono comprese e gestite ritornano in qualunque momento si rinnovi il motivo scatenante (come il fuoco che cova sotto la cenere) continuando a creare dolore. L’incendio rappresenta l’incapacità di gestire le emozioni, fino a poter simboleggiare la psicosi, uno stato di isolamento dalla realtà; non per niente esiste un detto africano secondo il quale “il fuoco non ha fratelli” indicando quelle passioni esclusive che letteralmente consumano la persona fino a portarla all’autodistruzione all’interno di una sorta di spirale della violenza in cui si diventa gli unici referenti di se stessi e non si ascolta la ragione di nessuno.
Basti pensare alla bruciante passione della sessualità e dell’amore in generale; è proprio in questo campo più che in altri che si tende a non sentire ragioni, quanti iniziano storie nonostante, ad una riflessione posteriore, era chiaro non ci fosse il minimo di base per portarla avanti? Ma accecati si segue la luce del fuoco interiore senza rendersi conto se le basi per far ardere in futuro quelle fiamme esistono realmente o solo nella nostra fantasia. Ma è proprio l’amore che, se da un lato si nutre degli impulsi più incontrollati, può raggiungere picchi altissimi di “spiritualità”, basti pensare alle relazioni che riescono a superare indenni, anzi, trasformate, il tempo e legano per sempre le persone.
Se quindi da una parte il fuoco rappresenta le passioni incontrollate, dall’altro rappresenta anche la possibilità di domarle ed incanalarle; è proprio questo che ci racconta il mito di Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei per darlo agli uomini, insegnando loro ad usarlo. Si perché il fuoco ha valore divino più che umano (può travolgere), anche quello delle passioni, e non è facile per l’uomo gestirlo; una volta che però ci si riesce appare in tutto il suo fulgore il suo valore trasformativo e rigenerante.
Il fuoco fonde i metalli, cuoce le pietanze; come a dire che le emozioni se accuratamente “coltivate” permettono di vivere meglio la vita, è grazie ad esse che possiamo radicarci nel mondo e sentircene parte, grazie a loro sentiamo di fare parte di un gruppo, grazie ad esse possiamo metterci nei panni degli altri e sentirci vicini (un amico può essere il migliore focolare a cui scaldarsi ed a cui confidare i pensieri); non si può comprendere una emozione in qualcuno se non la si è provata sulla propria pelle.
Sotto questo aspetto il fuoco, più che simbolizzare l’impulsività inconscia, rimanda all’aspetto spirituale dell’uomo; la fiamma che sale verso il cielo sembra liberarsi, spogliarsi della materia e salire verso la divinità; intorno ai falò si prega sperando che le sue fiamme, salendo leggere al cielo, possano portare le richieste degli uomini a Dio. La Von Franz ci dice che il fuoco era chiamato il Grande Giudice perché separa ciò che è degno di sopravvivere da ciò che non lo è; qui siamo nell’ottica dell’abbandono del controllo sulla vita; in questo senso il fuoco brucia l’Io e soprattutto brucia la sua arroganza, da un punto di vista psichico significa che il nostro Ego si libera dalle manie di controllo per far si che la persona possa godere delle sorprese che la vita gli riserva ed esprimersi in modo più libero e creativo; il fuoco rappresenta anche l’attitudine creatrice.
Nella sua capacità di distruggere la materia e trasformarla in fiamma è rivelatore della quintessenza, quel quinto elemento che si trova uguale dentro tutti gli altri, che accomuna tutte le cose create; secondo gli alchimisti permette di separare “il sottile dallo spesso”, liberando la scintilla divina che giace nascosta in ogni elemento della materia.
In conclusione il fuoco ci parla delle nostre emozioni, che possono divorarci e farci compiere gesti inconsulti come se fossero un incendio ma che, se comprese e condivise con chi ci sta vicino, possono aiutarci a ritrovare quella parte di noi che, come detto nella Bibbia, ci rende simili a Dio permettendoci di sperimentare a fondo l’esistenza e trovare un senso nuovo alla vita; anzi, di vedere in ogni giorno un giorno nuovo da cui poter ricominciare.
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