In questi giorni negli incubi degli italiani vaga sempre più spesso lo spettro del “sacrificio” prospettato dall’attuale governo. La reazione è depressiva in quasi tutti i casi, fare un ulteriore sforzo spaventa; questo perché il “momento del sacrificio” viene visto in generale come momento eterno mentre non se ne riesce a cogliere la possibilità trasformativa.
Le scomode decisioni di cui si dovrà fare carico l’attuale governo stanno sempre più spaventando l’opinione pubblica; la percezione che hanno la maggior parte delle persone è quella di una situazione in cui da un lato c’è ,anzi, ci sarà, chi farà dei sacrifici per far riprendere il paese mentre dall’altro c’è, ci sarà, chi non vorrà impegnarsi perchè non ritiene necessario abbandonare una possibilità di benessere immediata. E questo fa innervosire oltre il dovuto, soprattutto chi è disposto allo sforzo, fa preoccupare l’idea in generale di dover soffrire ancora; la paura di fondo è che da tanti sforzi potrebbe non venirne niente.
Questo modo di pensare nettamente separato in due, questo modo di guardare alla situazione attuale, però, nonostante possa certamente poggiare su dei dati reali, è pericoloso per la persona, crea squilibrio nella personalità e di conseguenza amarezza e stress, con l’autentico rischio che ci si fasci la testa prima di sbatterla e di lasciare il campo libero all’ansia ed altri dolori psichici legando le paure per il futuro alla situazione realmente critica di questo momento (vedi post sulla crisi economica).
Questo modo di percepire le cose fa male perché è una percezione scissa in due polarità rigide e contrapposte; il sacrificio da un lato, la sconsideratezza dall’altro. Il problema è che chi entra solamente nell’ottica del sacrificio rischia di farlo in modo masochistico senza sperare in un vantaggio mentre chi entra esclusivamente in quello della sconsideratezza lo fa utilizzando la negazione dei problemi rischiando di non riuscire a comprendere la gravità reale della situazione. La rigidità di questi due modi di pensare fa rimanere ognuno impantanato nelle proprio opinioni e invischiato nei propri foschi pensieri senza poterne uscire.
Allora a fronte di queste strade senza uscita bisogna ricordare che il termine sacrificio deriva da “sacrum facere” ossia “rendere sacro” qualcosa, offerta alle divinità e preghiera; in quanto preghiera dovrebbe essere disinteressato, chi prega “spera” e non “pretende” che le cose migliorino.
Quindi sacrificio come “tensione del vivere” e non come semplice masochismo coattivo; Alexander Lowen, fondatore della Bioenergetica, diceva che l’uomo è come un elastico teso fra cielo e terra, teso e vibrante perchè attraversato dalle energie tanto psichiche quanto fisiche che lo rendono vivo e soddisfatto; una tensione vitale quindi e non stressante.
Sotto questo aspetto la tinta fosca di cui ai nostri occhi è tinto il sacrificio viene schiarita e lo si può far rientrare tra gli eventi naturali e non per forza devastanti della vita.
Il mito al fondo della cattiva opinione che si ha del sacrificio deriva dall’insopprimibile desiderio dell’uomo di riuscire ad attraversare indenne la vita, una sorta di fantasia del Paradiso Terrestre.
In realtà attraversare l’esistenza con troppa leggerezza è come attraversare una tangenziale senza prima guardare a destra e a sinistra, può andare bene ma non è sempre detto.
Nello stesso tempo passarla immersi in sacrifici snervanti ed eccessivi è un po’ come continuare a lavare i panni a mano pur avendo in casa una lavatrice.
Anche restare in mezzo fermi tra i due modi non sarebbe produttivo; nella staticità si nasconde spesso la nevrosi.
In realtà la vita può essere attraversata in maniera “dinamica”, oscillando tra i due poli, il sacrificio può essere visto cioè in un’ottica trasformativa; i due modi di vivere sopra esposti non sono negativi in sé per sé, il problema è legato alla staticità; quando si è immersi nel sacrificio di sé non si riescono a vedere i momenti belli anche se ci sono, e si resta tristi e senza speranza; quando si vive in maniera troppo superficiale non ci si rende conto dei pericoli ma vengono perse anche le emozioni profonde che rendono piena la vita; in ogni caso in ognuno dei due c'è il rischio di restare chiusi in se stessi senza accorgersi realmente del mondo che sta intorno.
È vero che la vita può essere a volte sofferenza e pesantezza come è vero che può altre volte essere gioia e leggerezza; la cosa più importante è che dalla vita piuttosto che malconci oppure indenni se ne riesca ad uscire trasformati, arricchiti e più maturi, ma questo lo si può fare solamente uscendo ogni tanto da una delle due ottiche per entrare a conoscere anche l’altra.
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