Le ricerche
indicano che circa un terzo di noi è superstizioso e che la
maggior parte della gente tende ad avere quelle che sono chiamate mezze-superstizioni. Si tratta
di persone in genere razionali ma che in situazioni di incertezza, di stress
o di bisogno di aiuto cercano di riprendere il controllo personale sugli eventi
tramite la superstizione, ossia cercando di controllare il caso; questo è
quello che spesso accade nel gioco d’azzardo. Non è quindi casuale che
l’aumento del gioco d’azzardo patologico avvenga proprio in questo momento
storico, un periodo di incertezza e di crisi, tanto economica quanto sociale, e
non è forse un caso che l’Italia risulta essere uno dei paesi europei con la
maggior quantità di casi di Gambling.
Lo psicologo
Tedesco Willelm Wagenaar ipotizza che, quando le cause di qualcosa
appaiono sconosciute, i giocatori attribuiscono gli eventi a cause astratte
come fortuna o possibilità casuali; sulla stessa scia altri studiosi suggeriscono
che la fortuna può essere immaginata come caratteristica di una persona mentre
la possibilità casuale è vista come un evento non controllabile, casuale
appunto. Riguardo ai giocatori patologici pare che la causa maggiormente
addotta per le eventuali vincite sia il controllo sulla loro stessa fortuna,
ossia su una caratteristica propria.
Nella realtà
di studi sulla superstizione nel gioco d’azzardo ce ne sono pochi. Uno di essi,
effettuato dalla Nottingham Trent Universty, ha individuato che i giocatori che
spendono di più sono quelli che hanno più credenze superstiziose come quella
avere un amico fortunate da portare con sè, credere nella “serata fortunate” o
nella positività o negatività di alcuni specifici numeri.
Se da un lato
si manifesta il bisogno di controllare gli eventi, dall’altro è però sempre
presente anche la componente eccitatoria, perchè i giocatori nel momento in cui
giocano riferiscono di provare maggior divertimento ed eccitazione quando
tirano in ballo queste credenze (è eccitante dire “questa è la mia serata
fortunata” piuttosto che “questo è il mio numero (o posto) fortunato”).
In via
generale questi studi individuano 2 elementi caratteristici del
Gambling: da un lato c’è il bisogno di accedere a stati di eccitazione, il brivido
del gioco, il bisogno di vivere esperienze intense che scopre un livello di
attivazione piuttosto alto; in sintesi il fatto che alcune persone più di altre
hanno bisogno di esperienze forti per provare uno stato di benessere
adeguato e soddisfacente; dall’altro la necessita di una autocura; l’esistenza
di uno stato di stress o malessere che si cerca di controllare
simbolicamente tramite il controllo della fortuna al gioco.
Appare
paradossale ma sembra che proprio nel momento in cui si sente di perdere il
controllo sulla propria esistenza ci si rivolga a ciò che c’è di meno
controllabile nella vita, la fortuna.
A tratti
questo tipo di dinamica pare ricordare quello che secondo la psicanalisi è il
rapporto tra la coscienza e l’inconscio, l’eterno tentativo dell’Io di
controllare l’ignoto. Questa però, inserita nel disagio che il Gambling
comporta, si configura come una dinamica profondamente individualistica e,
visti i risultati, inutile; giocare d’azzardo per risolvere i propri problemi è
come volere a tutti i costi cavarsela da sè, affrontare uno sforzo titanico che
porta al fallimento, perchè cercare di controllare gli eventi della vita e le
sue strane giravolte da soli è come combattere contro i famosi mulini a vento
di Don Chisciotte. In questo caso l’attuale visione solipsistica della nostra
cultura non aiuta, non è infatti una incorporea dea bendata che potrà
risolverci i problemi ma bensì le persone in carne, ossa e sentimenti che ci
stanno vicine tutti i giorni.
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