domenica 23 giugno 2013

Paura d'amare; cos'è e come affrontarla

Innamorarsi è una delle esperienze più belle ( e spesso sconvolgenti) che si possano provare, ma non è così per tutti, ci sono persone che hanno paura di amare ed essere amati, magari per paura di essere traditi o di perdere il controllo sui propri sentimenti. Di questa paura se ne è spesso occupato il cinema, vedi il film che proprio “Paura d’amare” si intitola….pensiamo alla protagonista Julia Roberts che in “Se scappi ti sposo” fugge da ben 4 matrimoni…e l’elenco potrebbe anche essere molto più lungo; però a questo fenomeno si è anche interessata la psicologia, ovviamente, anche se trovando un termine più “scientifico” per chiamarlo, la cosiddetta Philofobia, che indica appunto la paura di innamorarsi e di essere amati da qualcuno. Desiderare immensamente una persona, lasciarsi andare, fidarsi pienamente, aprirsi e perdere parte della propria razionalità sono solo alcune delle sensazioni che vengono provate durante un vero e proprio innamoramento ma, nel momento in cui tutto ciò spaventa, scatta una sorta di meccanismo difensivo che è appunto la philofobia; molte persone avvertono infatti una grande difficoltà ad approcciarsi all’altro, data da profondi timori, ansie, incertezze, che si basa sulla paura dell’altro e sulla mancanza di fiducia. La gioia di sentirsi parte di una coppia viene vissuta come una minaccia alla propria stabilità emotiva, e viene vista con diffidenza.


Questa paura, nelle sue fasi acute e nei casi più estremi, si manifesta addirittura con gli stessi sintomi di una attacco d’ansia o di panico. Come sintomi possiamo trovare infatti: sudorazione eccessiva, nausea, tachicardia, agitazione ed altri sintomi tipici dell’ansia, ma anche difficoltà legate alla sfera sessuale come la difficoltà a raggiungere l’orgasmo nella donna o le disfunzioni erettili nell’uomo.
Ma quali sono le cause che creano questo meccanismo difensivo?
Alcune possono essere definite reattivo-situazionali, quali ad esempio una passata e profonda delusione sentimentale che ha profondamente ferito al punto di non volerne più sapere d’innamorarci per il timore di soffrire di nuovo o di essere nuovamente delusi.
Altre volte l’amore può venire considerato un fattore invalidante in quanto può far sentire deboli. È tipico delle persone che vogliono mostrarsi forti e confermare la propria autosufficienza, in questo contesto l’amore  viene visto come una minaccia perché entra in gioco anche la paura di perdere la propria libertà o il controllo delle proprie emozioni. L’amore procura infatti cambiamenti radicali nelle abitudini e nello stile di vita; quindi se nella persona c’è una forte resistenza al cambiamento innamorarsi o essere amati può fare paura (vedi: Paura di cambiare).
Spesso le cause sono rintracciabili nel rapporto con i genitori; sono appunto loro a tracciare le modalità con cui poi da adulti rispondiamo all’amore. Se un genitore non esprime correttamente i suoi sentimenti oppure non riconosce quelli di suo figlio si può contribuire a creare una grossa confusione dal punto di vista affettivo. A causa di questa confusione il bambino può essere portato a nascondere i suoi sentimenti o a negare tutto un vissuto emotivo ed affettivo che nell’età adulta diventerà la caratteristica che gli impedirà di avere delle relazioni affettive soddisfacenti.
Non bisogna poi dimenticare che può esistere un fattore cosiddetto “ auto lesivo” che porta le persone a sabotare in tutti i modi la propria storia d’amore.
La naturale conseguenza della Philofobia è che si tende a scegliere rapporti impossibili la cui conclusione è la rottura; si trovano pretesti per litigi e vengono preferiti rapporti tumultuosi. Talvolta ci si concentra su particolari o difetti impercettibili o si creano situazioni atte a distruggere il rapporto. Il problema è che nonostante tutto questo la fuga dal rapporto non elimina bensì intensifica la paura stessa, che finisce per nutrirsi di se stessa.
Ma, a questo punto, cosa è possibile fare per comprendere e provare a gestire questa paura?
  • Innanzitutto è necessario smettere di fuggire dai rapporti ma cercare di comprendere i sintomi del disagio, per aumentare la consapevolezza e, tramite la riflessione, ridurre l’intensità della paura.
  • È importante evitare il più possibile i confronti con le storie passate; restare concentrati nelle storie passata fa infatti aumentare la paura di un nuovo fallimento ed impedisce di godersi i momenti belli della storia attuale.
  • Bisogna ridurre le aspettative per il futuro, che potrebbero intensificare i sintomi e cercare di vivere nel presente, cercando di affrontare ogni giorno come se fosse nuovo.
  • Una cosa che sicuramente non guasta mai è il coraggio di parlare con il partner delle proprie paure e raccontargliele. In questo modo si intensifica l’entità della fiducia canalizzando il rapporto di coppia in modo positivo; l’unica cosa a cui fare attenzione è che questo non sia un cosiddetto argomento Tabù che va affrontato con maggior attenzione (vedi: Di cosa parlare in coppia?).
È chiaro che queste indicazioni non sono la panacea per tutti i mali, ma almeno permettono di diventare consapevoli del problema; la consapevolezza della situazione in cui ci troviamo ha il potere di farci sentire responsabili per essa, ci fa smettere di prendercela solo con gli altri, ci fa capire che la responsabilità di un rapporto che non va è anche la nostra.

Detta così sembrerebbe che diventare consapevoli sia solo una sofferenza, ma questo non è vero,  solo nel momento in cui percepiamo che un certo problema ci appartiene siamo capaci di mettere in atto le strategie per affrontarlo e quindi stare meglio; come diceva R. Carckhuff, solo quando ci si sente responsabili del proprio stato di sofferenza si riesce a trovare dentro di sé la forza per risolverlo e per trasformarlo in qualcosa di buono.

martedì 11 giugno 2013

Elogio della depressione.....matrice di creatività

Illustrazione dal "Libro Rosso" di C. G. Jung

Spesso i comportamenti frettolosi, accelerati della nostra epoca nascondo una forte paura del vuoto e della depressione. Ma se da un lato questa patologia provoca dolore e solitudine, dall’altro può portare, se ben affrontata, delle insospettate risorse creative.

Della nostra epoca si dice sia “l’epoca della maniacalità”, della fretta e dell’ansia; in effetti è vero che siamo sempre più “di fretta”, perfezionisti, preoccupati, accelerati….e di conseguenza anche un po’ più superficiali.
Ma quante volte il perfezionismo nasconde la paura dell’abbandono e del biasimo? Quanto spesso l’accelerazione e la fretta mascherano la paura del vuoto? Quanto la possibilità di avere molte più informazioni e competenze superficiali si trasforma in paura dell’approfondimento, in svogliatezza?
In psicologia si dice che l’ansia vada “a braccetto” con la depressione, indicando con questo che spesso, molto spesso, la prima non è altro che la maschera della seconda.
Allora, forse, più che vivere in un’epoca maniacale viviamo “anche” nella sua controparte, un’epoca depressiva; qualcuno che non ricordo spiegava molto bene che in tempi come i nostri la depressione diventa una specie di “bene fondamentale”, perché va a soddisfare la naturale esigenza dell’uomo di approfondire sé stesso, le sue motivazioni e il senso della sua vita. Vivendo in continuo movimento e mutamento viene a mancare la possibilità di fermarsi, di sostare dentro se stessi e comprendersi un po’, fare il punto della propria situazione esistenziale. A questo punto il comparire di periodi di depressione (ovviamente non stiamo parlando della vera e propria depressione patologica descritta nei manuali diagnostici ma di quei momenti di profondo abbattimento in cui capita di incappare nella vita), diventa funzionale proprio a questi obiettivi.
Con questo non si vuole assolutamente minimizzare la portata “deflagrante” di un episodio depressivo, che provoca sempre una sofferenza acuta quanto “sorda” e di difficile risoluzione. La solitudine è forse una delle principali sofferenze di una persona depressa, quella straziante sensazione che non si possa fare affidamento su nessuno al di fuori di se stessi, quel circolo vizioso che continua a far sentire separati dal resto del mondo, una sofferenza che sembra nutrirsi e vivere di se stessa. Le persone che soffrono di più sono proprio quelle che non hanno la possibilità di dialogo, di confronto con gli altri; noi tutti infatti siamo prepotentemente sospinti a ricercare rapporti, perché è solo tramite questi che possiamo veicolare fuori di noi, e conoscere, le nostre emozioni.
Nei casi più gravi l’impressione è quella di una caduta senza ritorno; non c’è più nulla nel mondo esterno che possa aiutare, nessuno stimolo che solleciti l’interesse o che possa accendere un barlume di progettualità.
Ma allora come si fa per uscirne e, ancora, come si fa per convivere con questo stato dell’anima quando si presenta? L’unica soluzione pare essere quella di attribuire un senso agli eventi che provocano questo dolore. In questo caso è interessante quanto affermato da Carotenuto:
“ Le ferite dell’anima, però, possono trasformarsi in principi attivatori del nostro risveglio psicologico, capaci di innescare la nostra rinascita, il cambiamento a cui tutte le esperienze vissute ci hanno preparato. La particolarità della sofferenza, infatti, consiste nella possibilità che essa ci offre di trarre nutrimento dallo sviluppo della nostra vita interiore…… la sofferenza e la “prigionia” della nostra anima illuminano e rendono visibile il patrimonio più prezioso e nascosto delle nostre risorse psichiche.”
Uscire da una depressione significa portarsi dietro un pesante ma ricco fardello: tutte le esperienze psicologiche e tutte le riflessioni generate dalla depressione stessa. È per questo che in genere dopo un episodio depressivo se ne manifesta uno maniacale, di entusiasmo e di confusione, ricco di idee e spunti creativi che se si avrà costanza potranno essere messi a frutto. Non per niente molti artisti riferiscono di aver creato le loro opere migliori in una sorta di “incendio creativo” conseguente ad un periodo di depressione e profonda solitudine; questa infatti più di altre sofferenze psicologiche rappresenta una possibilità di metamorfosi e, spesso, fonte di arricchimento interiore.
Ovviamente questo non vuol dire che una depressione sia qualcosa di auspicabile; tutt’altro, dovremmo però essere capaci di entrare più spesso in contatto con le nostre profondità inconsce, trovare più spesso dei momenti per stare da soli con noi stessi; nel momento in cui le occasioni di “introversione” trovano libera espressione nella vita quotidiana diminuisce il rischio di affrontare un vero e proprio episodio depressivo.
Avremmo così più momenti di consapevolezza e saremmo capaci di trovare soluzioni creative alle nostre difficoltà molto più spesso e senza dover necessariamente attendere di sprofondare nel buio.

Per l’articolo completo clicca qui

mercoledì 5 giugno 2013

Di cosa parlare in coppia? Attenti ai Tabù

E. Hopper "Summer Evening

Si dice che nella coppia i partner dovrebbero comunicare il più possibile; ma questo è sempre vero? E’ davvero necessario dire tutto? Pare di no, ci sono infatti degli argomenti Tabù che a volte è meglio evitare, pena la perdita della calma da parte di entrambi.
Gli psicologi ci hanno sempre consigliato che nella coppia i partner dovrebbero cercare di parlare di tutto ciò che li riguarda, a partire dai sentimenti individuali per finire agli argomenti inerenti alla coppia stessa. Tutto questo è sicuramente un bene, e molti sono i vantaggi: aumenta la conoscenza reciproca e quindi il livello di comprensione, ci si sente più liberi e più adeguati, parlare di sé aiuta a trovare i propri spazi individuali nella vita insieme, e dall’altro lato aumenta il senso di intimità e di sicurezza.
Succede però che ogni tanto anche nelle coppie più affiatate emergono nelle discussioni tematiche che preannunciano grosse tempeste; sono i cosiddetti argomenti Tabù, di cui non si può parlare senza far scattare una lite furibonda.
Qualunque coppia ne ha almeno uno e in genere fa di tutto per evitarlo appunto perché ne conosce le conseguenze.
Questi tabù possono riguardare qualunque argomento, da quelli più seri a quelli più leggeri come le più piccole incoerenze personali; ed è così che il detonatore viene attivato dall’educazione dei figli, la gestione dei soldi o i rapporti con le famiglie di origine, ma anche dalla mancanza di alcune piccole attenzioni, come dire ti amo, o da come ci si veste o per i panni che si lasciano in giro etc etc.
Indipendentemente dall’argomento la cosa importante è che in esso è contenuto un significato molto più importante che urta la sensibilità di entrambi i partner e che porta all’esasperazione emotiva; allora ecco che un metodo educativo troppo serio di lui verso i figli risveglia in lei l’energia di tutte le battaglie che ha combattuto per rendersi autonoma dai genitori; oppure, altro esempio, il rapporto troppo stretto di lei con sua madre entra in conflitto con la storia di lui, che magari ha una storia personale di carenze affettive da parte dei genitori che lo rendono allergico a forme di attaccamento che gli sanno di dipendenza affettiva.
Ma allora che bisogna fare, questi argomenti entrano nel novero di ciò di cui bisogna parlare oppure è meglio lasciarli perdere?
La storia ci insegna che il tabù è una forma necessaria utilizzata per mantenere la coesione all’interno di un gruppo sociale, come i famosi “Comandamenti” tra i quali abbiamo “non uccidere” e “non rubare”, sono quindi delle forme difensive naturali che nel nostro caso andrebbero a proteggere la coppia dalla rottura. Come tutte le difese quindi, se da un lato impedisce di raggiungere delle soluzioni dall’altro rappresenta un elemento protettivo.
Questo significa che in via generale l’argomento potrebbe pure essere trattato ma con un numero molto maggiore di attenzioni ed un accurata riflessione prima di affrontarlo.
Innanzitutto bisogna capire, nel momento in cui si crea il tabù, che ci sono dei motivi importati che riguardano entrambi i partner; ferite ancora aperte, traumi inconsci, situazioni non risolte, paure poco chiare, somiglianze con sofferenze del passato insomma, ma anche giudizi sul partner che se espressi lo ferirebbero troppo. È importante essere obiettivi al massimo nella riflessione e farla innanzitutto da soli, cercando di comprendere se quel certo argomento stia o meno minando effettivamente la stabilità della coppia e la sua intimità più profonda.
A questo punto è importante scegliere anche il momento per parlarne, infatti se venisse tirato fuori in momenti emotivamente carichi non sarebbe altro che un modo strumentale all’espressione ed allo sfogo della rabbia ma non alla comprensione reciproca; quindi meglio aspettare i momenti in cui c’è maggiore tranquillità, evitando quelli felici però, che altrimenti ne uscirebbero sciupati.
Riuscire ad eliminare o gestire un argomento tabù è comunque una conquista, che rende più liberi anche per il solo fatto di averlo compreso meglio e che può indurci, tramite questa comprensione, a capire di più l’altro ed amarlo meglio, in modo più maturo.