domenica 27 gennaio 2013

Come stanno cambiando i sentimenti maschili (2): Competizione e paternità


La rivoluzione sessuale degli anni 60/70 ha inciso enormemente su quello che è il “gioco dei ruoli” tra uomini e donne, un “gioco” che è molto cambiato negli ultimi anni e non corrisponde più  con gli ideali “classici” dell’uomo che lavora e porta a casa lo stipendio mentre la donna resta ad occuparsi della famiglia e dei figli nel ruolo di “angelo del focolare”.
Oggi come risultato del famoso ’68 gli equilibri della coppia sono modificati e gli uomini stanno scoprendo dei nuovi sentimenti, quelli che erano tralasciati perché complementari alla donna e che ora anche gli uomini si trovano a vivere e quindi a dover comprendere. Uno di questi nuovi sentimenti è l’invidia per le donne, già affrontato nel precedentearticolo, un altro è la competizione con le donne, una vera e propria novità per le donne  e gli uomini della seconda metà del secolo, ormai, scorso.
Mai come oggi infatti i due sessi sono simili e nello stesso tempo in conflitto; in passato gli ambiti lavorativi, gli obiettivi, erano in ambiti differenti e distinti per sesso, per ruolo, basti pensare che esistevano dei veri e propri oggetti per donne e altri per uomini; prima degli anni ’50 nessuna donna avrebbe mai saputo portare un’automobile mentre nessun uomo avrebbe mai saputo utilizzare un ago da rammendo. Oggi gli obiettivi e gli interessi sono condivisi, tanto nell’ambito culturale quanto lavorativo ed economico, e portano competizione fra i due sessi. Ma la competizione, così come l’invidia, oltre ad esprimere un disagio ed una forma di conflitto relazionale tra uomini e donne implica anche una diversa visione dell’altro, percepito come persona che manifesta le stesse capacità e gli stessi diritti.
La competizione infatti implica il rispetto e la considerazione del proprio “avversario” che può diventare una possibilità di solidarietà non più basata sui bisogni ma sulla stima reciproca; questo è uno dei punti centrali del cambiamento, il passaggio dalla complementarietà uomo/donna, in cui l’uno aveva bisogno dell’altra e viceversa, alla similarità in cui entrambi hanno le stesse qualità. Ovviamente questo cambiamento manifesta sia elementi positivi che negativi; percepirsi simili ha sicuramente un grande valore, permette la stima reciproca e una possibilità di comprensione e compartecipazione fra i sessi mai vista precedentemente, ma contemporaneamente rischia di portare ad una vita solipsistica in cui non si ha mai bisogno dell’altro, che infatti spesso viene cercato solo per brevi momenti in cui si evade da una single-tudine da cui è quasi impossibile separarsi.
Un campo significativo in cui la competizione tra uomo e donna si è allargata è sicuramente quello della gestione dei bambini, che solo negli ultimi anni è stato stabilmente conquistato dagli uomini.
E qui si arriva ad un altro “nuovo sentimento” maschile, quello della paternità; ovviamente non che questo in passato fosse assente ma oggi la cosiddetta funzione paterna di cui si parla tanto si è parzialmente spogliata (a volte anche troppo) del cosiddetto “ruolo di capofamiglia” basato sull’obbligo di mantenere i figli e far rispettare loro le regole per allargarsi anche al mondo dei sentimenti, un mondo che permette ai nuovi padri una relazione più ravvicinata con i figli e più carica di affettività. Per esempio il rapporto padre-figli fa oggi meno riferimento a canali comunicativi razionali o verbali (come in passato quando i padri entravano in contatto con i figli quando erano già più grandicelli e capaci di comunicare con consapevolezza) per utilizzare la comunicazione corporea ed il gioco, ed è proprio per questo che oggi riescono a rapportarsi anche con i figli molto piccoli senza dover utilizzare l’intermediazione della madre.
Come già detto anche nell’ambito della paternità vige il nuovo principio di similarità e quindi l’uomo si rende più simile alla donna, infatti per accudire un bambino piccolo anche lui (come anche la donna) deve attivare la propria componente femminile materna; in altre parole significa che per occuparsi del bambino piccolo anche il padre deve risalire a quello che è stato il rapporto con sua madre e riattivare quelle capacità materne che quest’ultima ha lasciato latenti dentro di lui accudendolo da piccolissimo.
In questo modo il padre sviluppa quell’insieme di capacità empatiche, di sostegno, di accudimento e nutrimento non solo fisico ma anche affettivo che viene appunto chiamato “maternage”, uno stato in cui appunto tanto l’uomo quanto la donna si lasciano guidare dalla propria componente materna e dal comportamento del bambino stesso.
Ma a questo punto bisogna ricordare che un eccesso di similarità nasconde anche aspetti negativi; se infatti i padri per entrare in rapporto con i figli in modo più “affettivo”  devono entrare in contatto con la parte femminile questo non significa che debbano liberarsi della componente più specificamente maschile, anche perché questo si risolverebbe in un problema anche per la crescita dei figli.
La caratteristica della parte maschile infatti è quello di stabilire le differenze, e regole, e quindi anche le differenze di genere sessuale per esempio; infatti pare che il padre, a differenza della madre, è il componente della coppia genitoriale che tende a giocare differentemente con il figlio maschio rispetto alla femminuccia, trasmettendo al primo gli aspetti maschili e rafforzando nella seconda quelli femminili. Inoltre mentre le madri tendono a prediligere attività tranquille che stimolano l’attenzione nei bambini, i padri sono quelli che propongono attività maggiormente ricche di stimoli fisici e quindi più variate, manifestandosi come l’elemento ideale per traghettare i figli verso il mondo esterno, che è appunto ricco di stimoli, e quindi verso la crescita.

domenica 20 gennaio 2013

Quando i bambini hanno paura (1): le crisi dello sviluppo


La paura è una delle principali esperienze vissute dall’uomo, che lo aiutano a reagire ad eventi potenzialmente pericolosi e dolorosi, e come tale lo accompagna a partire dalla sua nascita. In questo senso i primi a vivere la paura sono proprio i bambini che vivono due tipi di paure: quelle legate ai compiti dello sviluppo (esempio la paura della separazione) e quelle cosiddette sociali (legate all’educazione impartita ).
La paura è un’emozione e come tale si dimostra utile all’uomo; ha una funzione di salvaguardia della sopravvivenza e rappresenta una preparazione psicologica per affrontare situazione pericolose. Le paura però richiedono anche di essere superate, affrontate con consapevolezza, altrimenti possono finire per schiacciare la vita, soffocarla; non per niente il termine angoscia, a volte associato alla paura, deriva dal latino “angustie” ossia “strettezza”.
Quindi nel momento in cui il bambino si confronta con la paura nel corso del suo sviluppo è anche costretto ad individuare strategie di superamento, imparando piano piano a confrontarsi con l’ignoto. In questo modo la paura resta ciò che dovrebbe essere, un naturale campanello d’allarme che permette di prevenire situazioni di pericolo o di dolore, senza per questo soffocare lo sviluppo.
Nel momento in cui, però, la paura assume dimensioni che impediscono una vita normale, perde il suo carattere di protezione diventando un ostacolo alla maturazione del bambino e mettendo a rischio lo svolgersi dei compiti quotidiani a cui è chiamato.
Ovviamente un mondo senza paure sarebbe solo una illusione quindi un’educazione che cerca di tenere lontane tutte le paure non aiuta affatto i bambini ad affrontare la vita; viceversa sarebbe importante che essi si confrontassero con le paure, perché così facendo possono crearsi lentamente la fiducia in se stessi e strutturare il proprio Io, ed è altrettanto importante che in questo processo di superamento possano contare  sull’appoggio dei genitori che hanno la funzione di “contenimento”, come se fossero una ideale “boa” che garantisce un appiglio sicuro in caso di difficoltà.
Le paure dei bambini possono essere legate tanto ad eventi traumatici quanto all’educazione ricevuta ma anche alle fasi che attraversano durante la loro crescita.
In quest’ultimo caso si può dire che la libertà di crescere, di cominciare qualcosa di nuovo, di andare incontro al mondo è sempre accompagnata dalla paura, che però è una paura stimolante, che rende costruttivi e creativi.
Le persone che non si confrontano con la libertà e con le paure rischiano di non poter diventare indipendenti, di non sviluppare l’autostima; scappando di fronte alla paura finisce per crearsi un circolo vizioso che è la paura di aver paura.
Lo sviluppo del bambino nei primi anni di vita è velocissimo, ad ogni passo si  aprono sempre più porte verso la vita, e con esse nuove paure; aprire queste porte richiede quindi un grande sforzo emotivo, uno sforzo che però il bambino è in genere più che disposto a correre visto che possiede una sorta di speciale sesto senso verso ciò che può aiutarlo a sviluppare la fiducia in se stesso.
Durante i primi 3 anni si manifestano 4 principali paure condizionate dalla crescita:
  1. Paura della perdita del contatto fisico, la forma primaria di paura; durante le prime settimane di vita il bambino riceve tutto ciò di cui ha bisogno dalla madre, vive in una specie di paradiso terrestre dove il cibo e la sicurezza sono infinitamente presenti ed in questa sorta di Eden si formano i presupposti per la fiducia primaria del bambino verso se stesso e verso le figure di riferimento e quindi la base emotiva sicura. Il bambino è quindi molto dipendente e nel momento in cui viene meno il contatto fisico con il “caregiver” si fanno strada le paure esistenziali che si trasformano in pianti e strilli che rappresentano per lui una vera e propria lotta per l’esistenza, questo in particolare nel momento in cui oltre alla distanza fisica si manifestano i bisogni, per esempio la fame; in questi casi è importantissimo che ci sia innanzitutto la rassicurazione ed il sostegno dei genitori tramite il contatto fisico, l’abbraccio, e poi a seguire, il soddisfacimento del bisogno specifico che viene dimostrato dal neonato.
  2. Paura dell’estraneo, intorno all’ottavo mese; a questa età il bambino ha appena iniziato a distinguere tra persone familiari e non e di conseguenza non è più disposto a farsi abbracciare da chiunque; si intimidisce quando un estraneo si avvicina troppo fisicamente, se da un lato ne è attratto come è sempre attratto dal nuovo, dall’altro il nuovo può apparirgli inquietante. Se l’altro non si avvicina allora il bimbo inizia le sue strategie di avvicinamento, sorride, cerca il contatto visivo e pian piano si avvicina con la scusa di giocare fino ad accettare il contatto fisico. In questi casi per evitare che si sviluppi una paura troppo forte è importante non costringere il bambino ad avvicinare l’estraneo ma aspettare e rispettare i suoi tempi.
  3. Paura della separazione, intorno al secondo anno; a questa età il bambino inizia ad avventurarsi verso nuovi territori ed in questa fase si vede in azione la sicurezza acquisita nel periodo precedente. Le paure di separazione accompagnano il bambino per tutta la durata dello sviluppo, e continuano ad agire anche nell’adulto, nella loro forma precoce si manifestano nel momento in cui il bambino può muoversi con maggiore autonomina, appunto dopo il primo anno, quando inizia a gattonare e poi a camminare stabilendo quindi le modalità di allontanamento fisico ed autonomo dalle figure di attaccamento. Questa nuova autonomia è però ancora fragile e va accompagnata, soprattutto perché facilmente minacciata da regressioni; allora è molto importante mostrare fiducia nel bambino e nelle sue capacità, lasciandogli lo spazio per fare esperienza del mondo ma contemporaneamente essendo disposti a riaccoglierlo quando dimostra di avere ancora bisogno di rassicurazione da parte dei genitori.
  4. Paura dell’annientamento, intorno al terzo anno; questo è anche il periodo della fase dell’opposizione, durante il quale i bambini sviluppano il senso di potere e di forza, fino a rasentare l’onnipotenza; parallelamente a tutto questo avviene l’educazione alla pulizia e il bambino sviluppa un  senso di controllo sul proprio corpo ma anche sugli altri (per esempio sui genitori che attendono ansiosamente che faccia i suoi bisognini). Contemporaneamente al controllo ed al potere c’è però anche un forte senso di impotenza, che si manifesta in particolare di notte, con la paura dei mostri e degli incubi, ma anche delle forze della natura. A questa età per gestire le paure i bambini iniziano ad affrontarle nel gioco o con piccoli rituali; è quindi importante essere il più sensibili possibile alle piccole ossessioni, in particolare quelle per andare a dormire, come la lucina accesa, oppure ai giochi con i mostri o a quelli aggressivi che se da un lato non vanno esasperati dall’altro sono necessari per dare forma alla paura ed affrontarla.
Queste sono tutte paure naturali legate allo sviluppo ed alle sue fasi, non è quindi auspicabile impedire al bambino di provarle ma come già detto è importante che i genitori gli siano vicini e lo aiutino a trovare le sue personali risposte e soluzioni perché solo così facendo il bambino può mettere le basi per la fiducia in se stesso.

domenica 13 gennaio 2013

Uomini che invidiano le donne: come stanno cambiando i sentimenti maschili (1)


Come da più parti affermato, e come visibile nella vita di tutti i giorni, pare che l’identità maschile stia vivendo una fase di cambiamento che assume a volte i tratti di una vera e propria crisi maschile.
Ora, questa crisi a volte viene descritta in maniera quasi fumettistica (l’uomo "mammo", quello narciso, quello insicuro, etc. etc. ), mentre in realtà non va per nulla presa “sotto gamba”; tra le sue conseguenze abbiamo anche le forme di aggressività incontrollata, che può sfociare, nelle situazioni più gravi, nell’atto suicida oppure omicida che a volte segue alle separazioni delle coppie, delitti passionali che arrivano sempre più spesso agli onori della cronaca; altrimenti, più spesso, si manifestano in forme depressive o ansiose, o nell’impotenza maschile, anch’essa, pare, in aumento.
Senza voler indagare quali sono le cause sociologiche e storiche che hanno portato agli attuali cambiamenti nei ruoli tanto maschili quanto femminili (per esempio la rivoluzione sessuale del ’68) può essere interessante valutare come questi cambiamenti si siano pian piano manifestati su un piano individuale, quello dei sentimenti.
Ma allora come stanno cambiando i sentimenti maschili? Questo cambiamento porta solo elementi negativi o può anche risvegliare delle potenzialità creative?
Un sentimento che fino ad oggi era rimasto praticamente inaccessibile alla coscienza maschile è l’invidia per le donne. Infatti mentre l’invidia della donna verso l’uomo è sempre stata tenuta in considerazione e anche studiata dalla psicanalisi questo non è avvenuto per l’invidia dell’uomo.
Una delle prime forme di invidia maschile presa in considerazione dalla psicanalisi è stata quella relativa al ruolo materno, alla capacità di procreare; ma nel passato poteva essere compensata dalla creatività dell’uomo nel proprio lavoro o nell’ambiente culturale, creatività che la donna non poteva esprimere perché tenuta lontana dai livelli decisionali del lavoro come dall’ambiente culturale.
Oggi questo equilibrio si è ribaltato a favore della donna che oltre ad essere pro-creatrice è creativa anche nel lavoro e può occupare delle posizioni decisionali, oppure può avere uno spazio considerevole nell’ambiente culturale; quindi una donna che oggi appare capace di realizzarsi anche in quei campi che in passato erano considerati strettamente maschili mentre l’uomo non potrà mai avere la possibilità di mettere al mondo un figlio, questo è un punto a favore delle donne, un punto che può generare l’invidia nell’uomo.
Inoltre oggi il mondo è sempre più globale, bisogna interessarsi di moltissime cose contemporaneamente, per utilizzare termini moderni l’uomo deve essere sempre più “multitasking”, capace di aprire sempre nuove finestre e di collegarle con quelle aperte in precedenza; insomma, quello  che si chiede è una sempre maggiore flessibilità. Il problema è che da che mondo e mondo si è sempre saputo che sono proprio le donne quelle capaci di fare più cose contemporaneamente, e lo hanno imparato perché si sono dovute sempre  occupare tanto del lavoro quanto dei figli (e del marito)…..cosa che l’uomo non ha mai dovuto fare. In effetti oggi anche l’uomo si trova a dover ricoprire ruoli diversi, compreso quello di padre, che però comporta l’acquisizione di capacità di accoglienza, quindi più materne, o della capacità di perdere il controllo senza creare catastrofi, caratteristiche che l’uomo fa difficoltà a conciliare con il lavoro; in sintesi per l’uomo è più difficile riuscire a vivere più ruoli tenendoli separati tra loro, per esempio il lavoro e la famiglia, cosa che invece alle donne riesce meglio……..provocando l’invidia maschile.
Un altro motivo di invidia maschile pare essere la capacità seduttiva femminile, per esempio, come afferma Slepoj, il fatto che mediamente le donne debbano fare “meno fatica” per avere un rapporto sessuale, possono rimanere in passiva attesa dell’uomo che le corteggerà. Quella che qui traspare è quindi l’invidia verso la passività, una svolta davvero notevole se si pensa che la passività è stata sempre vista dall’uomo come un disvalore; non abbiamo più qui l’uomo per forza cacciatore ma un uomo che cerca anche di sedurre ( etimologicamente: condurre a sé) la donna, un uomo che ha scoperto il piacere di essere corteggiato.
Per concludere bisognerebbe parlare un po’ dell’invidia, un sentimento che in passato, anche dalla psicologia, era considerato assolutamente deleterio e distruttivo e che invece oggi è stato rivalutato. L’invidia infatti, se non è troppo forte ha la stessa funzione dello stress, può cioè essere una forza propulsiva. In questo caso una forza propulsiva per l’uomo che può aiutarlo a conoscere i propri “tratti femminili”, ossia quelle qualità che culturalmente sono sempre state prerogativa della donna ma che in realtà appartengono a qualunque essere umano indipendentemente dal suo sesso. Ovviamente questo non significa arrivare ad una “femminilizzazione” dell’uomo ma ad una struttura di personalità più armonica e completa che può aiutare nell’affrontare con maggiore flessibilità e maggior successo la vita di tutti i giorni; una flessibilità che può essere utile per stabilire delle relazioni significative con gli altri, in particolare il partner o i figli, ma anche con se stessi..........continua