mercoledì 30 novembre 2011

La fine delle passioni

Le passioni ci spaventano, è vero che ogni tanto ci troviamo a provarne di travolgenti, amorose, sessuali, politiche, paurose etc., ma possiamo davvero chiamarle passioni? In realtà sono spesso emozioni (rabbia, paura, disgusto, gioia etc.) che durano poco, le vere passioni comportano riflessione, sono durature e spesso provocano sofferenza e proprio per questo ci fanno paura, ci fanno perdere il controllo e di conseguenza cerchiamo di spegnerle. Il problema è che più che sparire finiscono per trasformarsi in ansia o depressione e più che “passioni” finiscono per diventare veri e propri “patimenti” dell’anima.
Per capire come mai le passioni stiano sempre più sparendo è necessario riflettere sul significato della parola passione; dal latino “soffrire” “sopportare”, quindi passione vuol dire provare una sofferenza ma anche sopportarla e quindi bisogna andare a cercare il significato, tra gli altri, di sopportare; dal latino “supportare, sostenere”, indica quindi uno sforzo per portare su di sè qualche cosa, in questo caso potremmo pensare ad una emozione tanto forte e travolgente da fare quasi male.
Fino a qui tutti bene, tutti soffriamo e sosteniamo quindi non si potrebbe dire che le passioni siano in estinzione, anzi tutt’altro. Però il termine “sopportare” ha anche un ulteriore significato più specifico: “resistere” ed in questo caso invece si può spiegare il titolo di questo articolo.
Se alla base della passione c’è anche la resistenza il discorso potrebbe cambiare; le passioni sono lì per insegnare qualcosa, per parlarci di noi, ma noi non vogliamo ascoltarle proprio perchè portano con sè la sofferenza prolungata. Oggi però è sempre più difficile trovare chi piuttosto che chiudere gli occhi di fronte alle cose che non vanno decide di analizzarle e trovare una risposta.
Le emozioni travolgenti esistono ancora, ma le passioni, che durano a lungo, no, non c’è voglia di resistere, se una cosa non può essere ottenuta viene abbandonata per un’altra, c’è sempre meno voglia di combattere ed impegnarsi per ciò che si desidera, e il combattimento è “passione”.
Non è possibile comprendere le passioni senza prendersi il giusto tempo per ascoltarle, ed il problema è proprio il tempo, sempre più prezioso e sempre più centellinato.
Non è altrettanto possibile comprendere una passione senza entrarci in relazione, ma come si può fare per rapportarsi con essa? Solamente sperimentandola; ma allora come sperimentarla? Vivendola nella vita reale.
Alla base di questo meccanismo c’è quella che in psicologia dinamica viene chiamata proiezione, l’attitudine prettamente umana a rispecchiarsi negli altri; Jung diceva che per scoprire la propria Ombra personale (il lato nascosto ma anche sconosciuto di sè) poteva essere un buon inizio osservare ciò che meno piace degli altri e vedere se per caso quelle caratteristiche non albergassero anche in se stessi; ovviamente questo può valere tanto per caratteristiche negative quanto positive (anche se in via generale ciò che appartiene all’Ombra tende a fare paura). Questo principio quindi parla della naturale tendenza dell’uomo a cercare di conoscersi, e rivedersi negli altri è un modo come un altro per farlo, forse anzi il modo migliore.
Riconoscere le proiezioni comporta appunto tempo e sofferenza, comporta passione. La passione che ci lega al partner, ai figli, la passione sessuale e travolgente, il senso di appartenenza a qualche cosa, tutto avviene tramite questo meccanismo di base che quindi è prima di tutto un mezzo di conoscenza a nostra disposizione.
Provare passioni significa vivere nel mondo e rapportarsi ad esso, alle persone, agli eventi, significa riuscire a condividerle prima ancora di riuscire a capirle, significa stare con gli altri.
Il tempo diventa un elemento fondamentale; le passioni nascono dalle emozioni e le emozioni sono delle reazioni corporee che lasciano il tempo che trovano; per un momento abbiamo una certa reazione emotiva che però, come tutto ciò che comporta una scarica chimica fisiologica, tende ad esaurirsi per poi ripropoporsi quando ce ne sono i motivi scatenanti; le emozioni per essere capite, si potrebbe dire “patite”,  hanno bisogno di tempo.
Per appassionarsi allora bisogna vivere il mondo e le persone ma anche darsi il tempo di vivere le emozioni che ciò che ci circonda provoca in noi, nel cuore e nello stomaco prima ancora che nel cervello.
Solo dando spazio dentro di sè a ciò che si prova è possibile trovare un senso ai sentimenti, e questa attesa è l’attesa della passione, del sentimento travolgente.
Questo ascolto provoca patimento al nostro Io, alla parte cosciente di noi che vorrebbe tenere sotto controllo la situazione e spegnere le avvisaglie dell’incendio prima che possa provocare degli sconvolgimenti nell’anima.
E qui sta il punto, pur di non perdere il controllo vengono soffocate le passioni, basta pensare che questo è il comportamento alla base dell’ansia, ossia il tentativo di prevenire ciò che non ci aspettiamo, un tentativo che a volte raggiunge livelli patologici che a loro volta provocano comunque sofferenza psichica.
Ma non è solo l’ansia il nemico delle passioni, lo è anche la depressione, lo stato di anestetizzazione verso il mondo (anche verso quello interno) che impedisce le emozioni sul nascere, le congela prima ancora che arrivino sulla soglia, per evitare il riproporsi di un dolore.
Il tentativo, in sintesi, è proprio quello di bloccare il tempo, perchè pensare che lo sconosciutoche  bussa alla porta possa generare solo sconvolgimento negativo non è altro che chiusura in un passato negativo che magari spaventa, è mancanza di apertura verso un presente ed anche un futuro che invece potrebbero essere migliori.
Ma la paura di soffrire è troppo forte, il tenere fermo il tempo dà maggiore sicurezza, la sicurezza che ci viene da un mondo che anche se insoddisfacente è conosciuto, Fromm diceva, non per niente, che la più grande paura dell’uomo è la libertà; e si potrebbe aggiungere, le passioni liberatrici.
Ma allora come fare; il bisogno di sicurezza non è così facilemte superabile, come non lo sono l’ansia o la depressione.
Forse sarebbe necessario considerare bisogno di sicurezza, ansia e depressione delle passioni; esse infatti provocano comunque sofferenza consapevole, in particolare l’ansia, e quindi è necessario dare loro libertà di cittadinanza nel regno delle passioni.
Allora, se anche loro sono passioni, bisognerebbe lasciargli spazio; il dolore psichico migliora nel momento in cui viene ascoltato, nel momento in cui gli viene riconosciuto un senso ed uno spazio, è proprio questa per esempio la  prima utilità di una cura psicologica, appunto basata sull’ascolto.
Cercare di ascoltare i sintomi piuttosto che cancellarli o negarli, tramite l’esclusivo uso di farmaci per esempio, dà il via al loro riconoscimento e permette di trovargli un senso ma, soprattutto, è anche un modo per entrare in contatto con se stessi; un percorso di certo lungo e sofferto ma sicuramente ed autenticamente liberatorio.
E non è neanche detto che questo significa passare attraverso una lunga psicoterapia; quando il dolore psichico è  moderato può essere sopportato e compreso nel suo significato con l’aiuto degli altri; Borgna in un recente libro parla di “comunità di destini”, intendendo con ciò la possibilità di condividere il disagio e la sofferenza; confrontarsi con altri che provano lo stesso disagio permette di comprendere quale sia lo scopo ultimo del dolore psichico, permettere l’incontro con l’altro, tanto l’altro fuori di noi (le altre persone) quanto l’altro (il diverso da sè) che ospitiamo nella nostra anima.

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